Mentre stamattina il presidente del Consiglio salutava con condivisibile orgoglio la partenza della missione Exomars di cui l'Agenzia spaziale italiana è il primo finanziatore venivano resi noti dati e analisi che gettano un'ombra buia sullo stato della ricerca e dei ricercatori nel nostro Paese.

Dal 2010 ad oggi, secondo il rapporto della Commissione Ue sugli squilibri macroeconomici dell'Europa dedicato al mercato del lavoro, il numero di “cervelli in fuga” dall'Italia è costantemente aumentato. Una perdita per altro non compensata da flussi inversi, in entrata, in una sorta di scambio di competenze. Cosa che non accade invece negli altri Paesi europei dove il saldo dei lavoratori con livello di istruzione terziario, più elevato e specializzato, è pari se non positivo. Le ragioni di questo squilibrio sono spiegate dalla Commissione europea citando un sondaggio di Almalaurea. All'estero, a parità di mansione, si guadagna di più e i salari crescono più velocemente; è più facile avere contratti a tempo indeterminato, e un inquadramento e un percorso professionale più appropriati agli studi compiuti. Una situazione che dovrebbe allarmare fortemente chi si trova a gestire l'oggi ma anche il futuro del nostro Paese che continua a essere segnato da bassa crescita e scarsa produttività. La fuga delle menti migliori all'estero è doppiamente dannosa: nell'immediato in termini di investimento pubblico in formazione che va perduto e in prospettiva, elemento anche più preoccupante, perché senza quelle energie e potenzialità il Paese perde gran parte della spinta propulsiva per la ricerca e l'innovazione ed è destinato a un inesorabile declino.

In Italia non solo non si investe nelle persone ma nemmeno nella ricerca che è più innovativa quando è pubblica. Lo ha confermato nei giorni scorsi il Rapporto sugli sugli Istituti di ricerca più innovativi nel mondo commissionato da Reuters che ha premiato soprattutto istituti pubblici, meno condizionati dall'immediata ricerca del profitto e dove, non a caso, si sono realizzate scoperte che hanno rivoluzionato interi settori industriali e anche le nostre vite, come Internet o la mappatura del genoma umano. I primi istituti al top del Rapporto Reuters sono statunitensi, asiatici e soprattutto europei ma nessuno, tra i primi 25, è italiano. Il perché va ricercato ancora una volta nelle poche risorse pubbliche e private che l'Italia destina al settore. Le previsioni Istat sulla spesa italiana in ricerca e sviluppo per il 2015 indicano un calo del 2,9% di quella pubblica e un incremento appena dell'1% per il privato. Quanto al 2014, la spesa complessiva del settore era diminuita dell'1,8% in termini reali, con flessioni per università (-5,9%) e no profit (-2,7%), e aumenti per la Pa (+2,3%) e le imprese (+0,7%).

Bene ha fatto oggi il presidente Renzi a compiacersi per Exomars, ma se si vuole dare un futuro all'Italia e agli italiani serve di più di un tweet. Servono finanziamenti pubblici alla ricerca, allo sviluppo e adeguato riconoscimento al valore lavoro.