Ancona, 23 giu. (Labitalia) - Sono per lo più donne, giovani che vivono al Sud lavorano nel mondo delle professioni, ma con salari più bassi e con più difficoltà di inserimento rispetto ai colleghi. Sono tutte vittime delle cosiddette '3G' e cioè condizioni di discriminazione in 3 aree, genere generazione e geografiche. E' questa la fotografia sulle condizioni di lavoro nel mondo degli studi professionali scattata da una ricerca realizzata dall'Università Politecnica delle Marche con Fondoprofessioni (Fondo paritetico interprofessionale per la formazione continua dei dipendenti degli studi professionali) e presentata oggi ad Ancona in occasione del forum 'Dalle pari opportunità alle opportunità di sviluppo', organizzato da Fondoprofessioni in collaborazione con Confprofessioni (Confederazione italiana libere professioni).

Secondo la ricerca infatti, dipendenti e titolari delle attività professionali possono essere considerate una 'elite discriminata' perché "le professioniste -si legge nella ricerca- consapevoli del loro ruolo nel mondo del lavoro e del loro valore sociale proprio per questo spesso mascherano elementi di discriminazione e di disparità di trattamento rispetto ai colleghi di genere maschile".

Ma oltre a problemi di natura sociologica tra uomo e donna nelle professioni esistono differenze significative anche in termini di reddito. Secondo la ricerca, "il reddito annuo medio al 2004 di un ingegnere donna era di poco più di 20.000 euro a fronte di un reddito medio di un collega uomo di quasi 40.000 euro". Nonostante tutto, spiega l'indagine "se in precedenza il mondo delle professioni si configurava come un'elite di soli uomini oggi c'è una fortissima presenza del genere femminile, anche se ancora non dominante".

E anche il contesto geografico in Italia incide sul modo di svolgere la professione. Infatti secondo la ricerca tra un professionista che opera al Nord e uno che lavora al Sud, ci sono non solo forti differenze di reddito, ma anche in termini di accesso al lavoro. Di certo secondo la ricerca, i giovani, sia al Nord che al Sud, "non si iscrivono agli esami di Stato per diventare professionisti, evidenziando così una forte demotivazione rispetto al futuro e alle possibilità di crescita nel mondo delle libere professioni".

E secondo l'indagine sono i numeri a dire che le condizioni dei giovani professionisti sono difficili, "tanto che -si legge nella ricerca- quelli a rischio precarietà rappresnetano circa il 20% del totale". Ci sono poi i professionisti con scarse tutele, che rappresentano circa il 60% del totale. Sono quelli che "accettano di operare in condizioni di mercato critiche, con scarse tutele".