“Quello di Bruno Trentin era un modello culturale unico e diverso dagli altri, più francese che comunista, quasi vicino all’anarchia intellettuale”, sempre attento “al pluralismo”, “dove l’aspetto della libertà dominava su qualsiasi appartenenza formale”. Lo ha detto Romano Prodi intervenendo alla presentazione del libro Bruno Trentin - Diari 1988-1994 (Ediesse 2017), che si è tenuta giovedì 15 giugno alla Camera dei deputati.

Prodi ha sottolineato, analizzando i diari dell’ex segretario generale della Cgil, “la tensione continua, in Trentin, con la struttura del Partito Comunista, e contro ogni struttura”. Ma l’adesione al Pci, per Prodi, si spiega con l’individuazione in quel partito, da parte di Trentin, “della difesa della Costituzione e della guerra partigiana”. “E, soprattutto, per Trentin il Pci era il partito del lavoro, lo vedo comunista in queste scelte in quanto nell'Italia di quel momento i valori che lui aveva acquistato nel Partito d'Azione erano o potevano essere tradotti in pratica dal Partito Comunista”.

Il focus, l’obiettivo di fondo del pensiero e dell’azione sindacale di Trentin - prosegue l’ex presidente del Consiglio - “è il riscatto del lavoratore: un’idea in cui si ritrova la grande influenza del personalismo francese”. Il Trentin sindacalista, per Prodi, “è più interessato a questo aspetto generale che non a dei modelli organizzativi specifici”.

Poi è “raffinatissima”, in Trentin, l’analisi dei “problemi che avrebbe avuto l'Europa in futuro, insieme ai dubbi sui paesi dell'Est”; e - prosegue Prodi - si avverte nelle pagine del diario un “desiderio di confronto internazionale tra vecchi e nuovi paesi europei” che nel sindacalismo non ha però trovato seguito. “Questo - sostiene il Professore - è un problema grossissimo, perché la globalizzazione se ne va tranquilla, mentre gli strumenti per affrontarla non si sono globalizzati. Nelle riflessioni di Trentin c’era già la preoccupazione riguardo al ruolo e alla presenza del sindacato nella globalizzazione dell'economia e nella sua complessità, e c’era una forte capacità di intuizione politica”, ha concluso Romano Prodi.