La Corte d’Assise d’appello di Milano ha disposto la perizia medico legale per Carlo Maria Maggi, ex leader di Ordine Nuovo, sotto inchiesta per la strage di Piazza Loggia a Brescia insieme all’ex ordinovista e collaboratore dei servizi segreti Maurizio Tramonte. Si riapre così il processo che ha visto in ultima battuta il pronunciamento della Corte di Cassazione, che un anno fa ha annullato l’assoluzione disposta dal tribunale di Brescia nei confronti degli ultimi due imputati rimasti alla sbarra. Nei giorni scorsi i legali di Maggi avevano chiesto che l’imputato venisse sospeso dal processo per ragioni di salute. Domani (27 maggio, ndr) i magistrati milanesi nomineranno il medico che dovrà valutare se Maggi sia nelle condizioni per partecipare alle udienze.

“Se la perizia confermasse l’uscita di Maggi dal processo, la giustizia subirebbe uno schiaffo - questo il commento, al termine dell’udienza, di Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage -. Non ci sarà un giudizio e ognuno potrà interpretare questa vicenda come vuole. La perizia medica è un diritto dell’imputato, ma esiste anche il diritto delle vittime ad avere un giudizio certo, positivo o negativo che sia. Lo stesso diritto è dello Stato, perché la violenza di quegli anni metteva in discussione le istituzioni democratiche”.

La bomba che esplose in Piazza Loggia il 28 maggio 1974 uccise otto persone e ne ferì altre cento. Quel giorno era stata indetta una manifestazione dal Comitato antifascista e dai sindacati in risposta alla violenza eversiva che funestava la città, proprio in concomitanza col referendum sul divorzio. “Durante il processo – racconta Milani – molti ex neofascisti hanno dichiarato che per loro il risultato referendario era importante. Erano gli anni del compromesso storico: se avessero vinto i divorzisti, anche il Pci sarebbe andato al governo e l’azione ordinovista ne avrebbe risentito. Se fossero stati sconfitti, si sarebbe mantenuto il vecchio rapporto con la politica, e questo avrebbe garantito loro l’impunità”.

È lo stesso Milani, che nella strage perse la moglie, a raccontare chi erano le vittime: “Morirono cinque insegnanti, tra cui tre donne - a dimostrazione di un punto di vista al femminile che allora si stava radicando - e un ragazzo del sud Italia, che oggi verrebbe definito ‘immigrato’. Con loro un operaio, legato agli insegnanti come a rappresentare l’unione scuola-lavoro e il lavoro come principio di solidarietà, e un ex partigiano, a segnare la continuità coi principi della Resistenza”.

Questa mattina la Camera del lavoro di Brescia, che è parte civile nel processo, e la Camera del lavoro di Milano hanno affisso le proprie bandiere all’ingresso del tribunale. Una delegazione ha partecipato all’udienza. “Siamo qui oggi, e saremo in Piazza Loggia il 28 maggio, per continuare a chiedere giustizia – ha dichiarato Damiano Galletti, segretario generale della Cgil di Brescia –. La strage voleva colpire il consenso che stava crescendo intorno al movimento operaio, e interrompere il processo democratico che in quegli anni si stava instaurando dentro e fuori dai posti di lavoro. Questo processo è l’ultima tappa per arrivare alla verità”.