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Francesco, 50 anni di Manfredonia (Fg), fa parte di quella platea storica di Lsu che da oltre venti anni lavora per le amministrazioni pubbliche senza una prospettiva di stabilizzazione. “Domani (6 maggio) saremo a Roma alla manifestazione nazionale della Cgil, a sostegno di una nuova Carta dei diritti, perché a prescindere dal lavoro che uno svolge gli deve essere riconosciuta la possibilità di vivere dignitosamente”
Mi chiamo Francesco, sono un lavoratore socialmente utile del Comune di Manfredonia, ho 50 anni. La mia storia lavorativa inizia 22 anni fa, avevo 28 anni, all'epoca ero sposato, dal mio matrimonio è nata una bambina, Carla. Avevo lavorato in varie ditte edilizie con la qualifica di operaio qualificato, poi il licenziamento.
Intanto il mio matrimonio finiva per via dei problemi e le difficoltà, a 40 anni mi separavo da mia moglie, mia figlia all'epoca aveva sedici anni. Entravo a far parte della platea storica degli Lsu e la mia condizione di lavoratore atipico non mi ha mai permesso nemmeno di dare un minimo di mantenimento alla mia famiglia. Mia figlia ormai prossima ai 18 anni passava i suoi anni più belli vivendo un po' con me , un po' con sua madre e i nonni.
La mia condizione è stata subito chiara: non riuscivo a essere d'aiuto alla mia famiglia sia nelle grandi cose che nelle piccole, non riuscivo nemmeno a pagare l'affitto.
Nel frattempo mia figlia andava a vivere con il suo compagno e iniziava a lavorare presso un'azienda dove ricopriva il ruolo di addetta alla contabilità, ed io non avendo più la possibilità di pagarmi una casa in affitto sono stato costretto ad andare a vivere con lei che mi rendeva nonno.
Si prova tanta gioia nel diventare nonno, un nipotino è un dono ma io oltre alla gioia ho provato tanto sconforto perché sapevo che non avevo dato quello che dovevo a mia figlia e non avrei potuto nemmeno al mio nipotino.
Oggi ho una nuova compagna, una donna comprensiva a cui purtroppo non posso dare la speranza di un futuro insieme così come vorrei, un futuro che non appare migliore del passato, anzi un futuro senza una pensione dignitosa. Si, nemmeno sulla pensione posso contare, perché noi Lsu non abbiamo nemmeno i contributi.
Oggi vivo in casa con mia figlia, ho una stanza per me, mia figlia ha perso il suo lavoro ed io per quel che posso l'aiuto facendo quello che è nelle mie disponibilità: faccio la spesa, faccio il nonno e faccio la maggior parte dei lavori domestici. Cerco insomma di essere d'aiuto il più possibile e di non essere un peso, perché è così che mi sento a volte, un peso.
Io, la mia famiglia, avremmo voluto tutti una vita “normale”. Mia figlia avrebbe voluto studiare ma non l'ha potuto fare, per lei desideravo un futuro diverso dal mio, come quello di tanti altri ragazzi. Quando guardo mia figlia vedo il mio fallimento o forse dovrei dire il fallimento di uno Stato, di una situazione e condizione anomala ed irreale che si protrae da 20 anni. Venti anni in cui abbiamo svolto, e altri migliaia come me, lavori importanti per le amministrazioni pubbliche, gli enti locali. Ma la nostra condizione precaria non cambia, sembra non dover avere mai fine.
Io non posso dare nulla a nessuno, né a mia figlia né alla mia compagna e nemmeno al mio nipotino. Nulla nemmeno a me stesso. Mi sento solo un uomo fuori posto, con un unico sogno: quello di vedere dopo 22 anni uno Stato di diritto che riconosca il nostro ruolo, la nostra utilità lavorativa, e da qui far discendere una stabilizzazione che sarebbe un atto dovuto.
Anche per questo domani saremo a Roma alla manifestazione nazionale della Cgil, a sostegno di una nuova Carta dei diritti: perché a prescindere dal lavoro che uno svolge a tutti deve essere riconosciuta la possibilità di vivere dignitosamente.