“Abbiamo preso in esame i tre Paesi per dimensione di popolazione e per tipo di attività comparabili con l’Italia, cioè Francia, Germania e Spagna. Il risultato è che la caduta italiana del Pil è la più intensa di tutta Europa, con otto punti al di sotto della media Ue”. Così Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, stamattina ai microfoni di Italia Parla, la rubrica di RadioArticolo1, ha presentato i dati di uno studio su investimenti pubblici e Pil.

“Siamo indietro anche rispetto alla situazione spagnola, peraltro con un divario che si è accentuato nell’ultimo biennio – ha continuato il dirigente sindacale –. Ciò testimonia qual è il vero problema della nostra situazione economica - il crollo degli investimenti -, che ha inciso sullo sviluppo e sulla spesa per consumi, dove anche lì siamo agli ultimi posti in graduatoria europea. Stessa cosa avviene per la media delle retribuzioni e della redistribuzione della ricchezza, a testimonianza che la bassa produttività del nostro Paese non è legata al costo del lavoro e agli stipendi dei dipendenti. Anzi, il vero problema dei bassi salari incide su uno dei fattori eminenti dello sviluppo che sono i consumi, mai così ridotti, per il fatto che ci sono pochissime risorse in mano alle persone. Tutto questo ci dice che la crisi non è affatto finita”.

“L’ultimo rapporto Istat parla di un cospicuo aumento della produzione industriale del mese di agosto 2016, ma di stagnazione sostanziale dei consumi interni, soprattutto della spesa delle famiglie – ha rilevato ancora il responsabile della Fdv –. Nel primo caso, l’incremento riguarda sostanzialmente la crescita del mercato dell’auto, mentre sono sempre al palo settori di più larga diffusione, come il tessile-abbigliamento e il mercato del mobile, che hanno le caratteristiche del made in Italy, e appaiono esigui i consumi dei generi alimentari. In generale, permane un diffuso pessimismo sull’andamento futuro del nostro Paese, e tutti coloro che versano in condizioni di difficoltà o addirittura di povertà di certo non spendono, e, se possono, mettono i soldi da parte per reintegrare le scorte di risparmio erose”.    

“La colpa della bassa produttività del nostro Paese e quindi della conseguente fatica a far aumentare il Pil dipende dai problemi della competitività italiana, come del resto confermano manager e direttori d’impresa: ai primi posti, ci sono l’alto costo dell’energia per le aziende italiane rispetto all’Europa; le difficoltà della logistica; i tempi della giustizia civile. Di tutto questo non si parla mai né s’interviene, mentre ci vorrebbe una scossa in tale direzione per cambiare le cose, se si vuole davvero fare sviluppo anziché continuare ad arretrare. Ma la scossa la può dare solo una fase importante di crescita degli investimenti, a cominciare da quelli pubblici, finalizzati allo sviluppo e all’aumento di posti di lavoro, come noi ripetiamo da molto tempo. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ipotizza per il 2017 un aumento dell’1% del Pil, ma per farlo diventare un numero realistico, e non fondato sulle aspettative, occorre che i 17 punti di ritardo negli investimenti italiani rispetto all’area euro, accumulati dal 2007 al 2015, comincino ad essere recuperati, ad esempio in opere rapidamente cantierabili, scomputati dal fiscal compact e dall’austerity europea. Questo, peraltro, ci creerebbe molte più alleanze con tanti altri Paesi dell’Unione e sarebbe finalmente un segnale di cambiamento profondo”, ha concluso Fammoni.