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“Cultura è lavoro. Parma, capitale della cultura. Quanto è lontano il 2020?”. Recita così il titolo della ricerca, promossa da Eburt-Cst Parma e realizzata da Ires Emilia Romagna, sulle sfide poste dalla candidatura di Parma a capitale italiana della cultura 2020. L'oggetto dell’analisi sono state tanto le potenzialità quanto le fragilità della filiera culturale, con un’attenzione particolare ai fabbisogni dei lavoratori e delle lavoratrici che vi sono occupati.
La cultura come filiera
L'uso del termine “filiera” non è casuale: la ricerca è stata guidata da una visione sistemica della cultura, che non la concepisce esclusivamente come un prodotto finito, ma ne esalta la potenzialità di diventare un motore fondamentale dei processi decisionali. Per riconoscere un nuovo protagonismo alla cultura è indispensabile restituire “voice” a coloro che lavorano in questo comparto, per comprenderne le condizioni di lavoro e le possibili linee rivendicative.
L’analisi del contesto
In base al ranking 2019 europeo sulle città culturali e creative, Parma si colloca in undicesima posizione nella classifica italiana, perdendo cinque posizioni rispetto alla classifica del 2018. Continua a rilevare performance allineate a quelle delle città europee assunte come benchmark relativamente all’offerta e alla partecipazione culturale (cultural vibrancy) e alla capacità dell’industria creativa di generare valore aggiunto, ma registra un ritardo rispetto ai cosiddetti fattori abilitanti, ovvero gli asset tangibili e intangibili che costituiscono le precondizioni propedeutiche allo sviluppo della produzione culturale. Quest'ultimo è un dato comune a tutte le città italiane che registrano un arretramento strutturale per quanto riguarda l’apertura culturale e la tolleranza verso lo straniero, assunte come proxy del capitale sociale e considerate variabili capaci di stimolare un clima favorevole alla cultura.
Le industrie culturali e creative (Icc) e il turismo (culturale) sono i settori principali della filiera e in questi anni hanno conosciuto una continua espansione, in Italia, ma soprattutto in Emilia Romagna. Secondo il report “Io Sono Cultura 2019” della fondazione Symbola, nel 2018 le Icc, da una parte, hanno prodotto soltanto in Emilia Romagna 8 miliardi di euro, ossia il 5,6% del valore aggiunto regionale, occupando 137 mila operatori, pari al 6,4% della forza lavoro regionale. Dall’altra parte, l'Osservatorio regionale del turismo di Unioncamere Emilia Romagna ha quantificato un valore aggiunto di 16,2 miliardi di euro realizzato dal turismo in regione, pari all’11,8% del totale, e un’occupazione pari a circa 223 mila addetti, il 13,5% del totale regionale.
A questa capacità di produrre ricchezza e occupazione, si contrappongono le condizioni di lavoro presenti nella filiera, segnate da discontinuità contrattuale e basse retribuzioni. A Parma, la retribuzione dei lavoratori dello spettacolo e nel comparto turistico è inferiore a quella del lavoro dipendente considerato nella sua totalità, pari a 25 mila euro. Nello spettacolo si ha una retribuzione media lorda annua inferiore di oltre il 50% alla media territoriale, nelle agenzie di viaggi del 20% in meno: questo divario sale al 40% nel settore dell’alloggio e arriva al 61% nella ristorazione. Trasversalmente alla filiera, continua a registrarsi un gap di genere che arriva fino al 32% nel comparto dello spettacolo.
L'indagine
Congiuntamente all’analisi di contesto, il percorso di ricerca sviluppato da Ires Emilia Romagna consta di un’indagine tra i cittadini di Parma sul livello di consapevolezza rispetto al riconoscimento di capitale della cultura 2020, e tra i lavoratori della filiera della cultura, sulla qualità del lavoro. Per una lettura esaustiva del livello di informazione e delle aspettative legate a Parma 2020 dei cittadini si rimanda al report (clicca qui), mentre di seguito si riportano le principali linee interpretative della qualità del lavoro nella filiera della cultura emerse dall’analisi.
Innanzitutto, l’indagine mostra come circa il 38% dei lavoratori non abbia ricevuto formazione negli ultimi due anni e come questa percentuale sfiori il 50% per i lavoratori del commercio e del turismo, mentre risulti più contenuta per i lavoratori della cultura in senso stretto. Il gap formativo più diffusamente riscontrato riguarda le competenze linguistiche ed è il segmento del commercio a essere meno qualificato e a esprimere un maggior bisogno di formazione.
Da un punto di vista strettamente organizzativo, l’indagine rileva ed elabora diversi indicatori di autonomia (autonomia prestazionale e autonomia di gestione nel tempo) e costrittività sul lavoro, ovvero una misura dei vincoli organizzativi limitanti gli spazi di libertà del lavoratore, e mostra come quando la costrittività organizzativa superi l’autonomia si produca una tensione organizzativa sfociante in un potenziale di rischio psicosociale. In un confronto tra gruppi professionali, è la cultura in senso stretto a mostrare la più alta tensione organizzativa, in quanto percepisce una costrittività significativamente più alta degli strumenti di autonomia. È interessante osservare come la tensione organizzativa sia correlata al titolo di studio e risulti più pronunciata tra gli iscritti al sindacato, sintomo di un maggior livello di malessere sul lavoro.
Confronto tra autonomia e costrittività organizzativa: la tensione organizzativa
(indicatori da 1 min a 10 max)
La visione del lavoro
Gli elementi che caratterizzano maggiormente la visione del lavoro del nostro campione sono quelli di carattere strumentale (lavoro come necessità economica e come mezzo per essere indipendente), seguiti dai fattori espressivi (autorealizzazione e realizzazione delle proprie passioni) e sociali (lavoro come mezzo per essere socialmente utili).
Nel lavoro della cultura in senso stretto, la visione strumentale convive con la visione espressiva, ma non si annulla rompendo la narrazione prevalente incline a considerare il lavoro della cultura principalmente come uno spazio di soddisfacimento di bisogni motivazionali e identitari, ma non primari, aprendo spesso a pratiche di autosfruttamento. Se si dovesse coniare uno slogan rivendicativo per i lavoratori della cultura, questo potrebbe quindi essere “non solo rose, ma anche pane”, enfatizzando l’insopportabile instabilità retributiva che attanaglia questa categoria di lavoratori.
La soddisfazione sul lavoro
In linea con l’approccio analitico italiano allo studio della qualità del lavoro, anche in questa ricerca si è optato per un’impostazione multidimensionale della soddisfazione sul lavoro. Per tutte le dimensioni proposte i lavoratori hanno indicato in media un grado di soddisfazione medio-basso, con maggiore soddisfazione, ma sempre contenuta, per le relazioni umane, autonomia e carico di lavoro, e minore soddisfazione per il riconoscimento professionale e la retribuzione.
Confrontando i gruppi professionali, è quello della cultura in senso stretto a superare la soglia della sufficienza della soddisfazione sul lavoro, soprattutto perché sorretta dalla coerenza tra lavoro e passioni, dimensione senza la quale la soddisfazione sul lavoro scivolerebbe sotto la soglia della sufficienza anche per queste figure professionali.
È di interesse osservare come la soddisfazione cresca al decrescere della tensione organizzativa, ovvero dove gli strumenti di autonomia sono più capaci di governare i vincoli di costrittività organizzativa si rileva la massima soddisfazione. La relazione suggerisce come azioni volte a rafforzare la partecipazione dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro rappresentino una leva per innalzare la soddisfazione sul lavoro.
Soddisfazione sul lavoro per dimensione della qualità del lavoro
(punteggi medi, scala 1-10, min-max)
In sintesi, lo sviluppo di una prospettiva rivendicativa lungo la filiera della cultura non può prescindere da due passaggi cruciali: guardare alla cultura non solo attraverso il suo effetto di moltiplicatore economico ma anche in ottica redistributiva, sanando il divario tra il valore aggiunto generato dalla filiera della cultura e la retribuzione di coloro che vi lavorano; rafforzare gli strumenti di autonomia e di partecipazione dei lavoratori che, oltre ad accrescere il livello di soddisfazione sul lavoro, irrobustiscono la dimensione del riconoscimento professionale.
Luca Villaggi è ricercatore all’Ires Emilia Romagna