Del doman non v’è certezza”: potrebbe iniziare così la sintesi dell’impatto che la rivoluzione dei processi produttivi delineata nel progetto denominato Industria 4.0 può portare nella manifattura italiana legata ai settori artigiani e alle piccole e medie imprese della moda e della chimica. Si parla molto (forse troppo) di Industria 4.0 e poco di Manifattura 4.0: l’innovazione legata a tale processo non è infatti circoscritta alle sole realtà industriali, ma a tutte le attività di produzione.

La Filctem ha il compito di interrogarsi su quali potranno essere le conseguenze di questa trasformazione sull’occupazione dei lavoratori oggi impiegati nelle aziende artigiane e nelle Pmi, che per la stragrande maggioranza svolgono la propria attività al servizio, e in committenza, delle grandi realtà industriali.

Le fasi e la complessità non saranno uguali per tutti, in considerazione dell’innovazione tecnologica basata principalmente su tre livelli di evoluzione, da quello base, legato ai sistemi di assistenza, a quello medio dei sistemi cyber-fisici e a quello elevato dell’intelligenza artificiale. L’utilizzo di tali tecnologie nei processi produttivi delle grandi imprese, pensando nello specifico alle produzioni nei settori della moda, consentiranno alle aziende l’internalizzazione di fasi produttive oggi esternalizzate in funzione della riduzione dei costi.

Le filiere produttive della moda, così come quelle della chimica e gomma plastica, sono fatte da piccole, piccolissime e medie aziende specializzate in fasi di lavorazione dei semilavorati, che per la maggior parte rappresentano lavori a basso valore aggiunto e a bassa specializzazione professionale. Per i soli settori artigiani questa massa di lavoro rappresenta circa 250 mila addetti, escludendo le Pmi.

Sono queste le lavorazioni che da subito potranno essere, con investimenti non eccessivamente costosi, internalizzate dalle aziende, avendo come vantaggio il controllo interno e diretto su tutta la filiera e un’ulteriore riduzione dei costi, tagliando le lavorazioni in conto terzi oggi destinate alle aziende in sub-fornitura. Dobbiamo perciò supporre che il primo impatto negativo della quarta rivoluzione industriale lo subiranno i livelli occupazionali dei lavoratori dell’artigianato e delle Pmi. Mentre paradossalmente i livelli occupazionali delle grandi imprese potrebbero aumentare nelle fasi di controllo e sviluppo della nuova filiera produttiva interna.

Ci sarebbe da comprendere come poter accompagnare questa fase di transizione che vedrà l’espulsione dai processi produttivi di lavoratori poco professionalizzati in favore di lavoratori più altamente qualificati. Affinché l’evoluzione tecnologica a cui stiamo assistendo diventi fattore di crescita inclusiva e non di distruzione di lavoro, e soprattutto affinché non scateni una guerra sociale, occorre rivalutare la centralità del fattore umano a fronte della sua flessibilità e adattabilità al cambiamento.

Attorno a tale rivoluzione va rimodulato l’intero sistema sociale e di vita fuori e dentro il posto di lavoro. La maggiore produttività dovrà essere reinvestita in politiche sociali atte ad accompagnare la fase di transizione e di cambiamento strutturale, evitando di lasciare il lavoratore disoccupato in balia degli eventi. Ciò che va detassato sono gli investimenti in questo senso, con un meccanismo virtuoso di controllo tra le maggiori entrate e il mantenimento dei livelli occupazionali.

La ricollocazione e la riqualificazione dei lavoratori non possono essere costi lasciati a carico della collettività, ma ripartiti tra tutto il sistema produttivo, pubblico/privato. Ci deve essere un monitoraggio e una presa in carico di responsabilità tra la perdita di posti di lavoro nelle aziende artigiane e Pmi conto terziste e le fasi di internalizzazione e digitalizzazione delle imprese committenti.

Se non si procederà al monitoraggio di questi processi, le conseguenze di tali trasformazioni saranno percepite come negative, anziché essere utilizzate come opportunità di cambiamento e di miglioramento sia delle condizioni di lavoro che di qualità della vita.

Sonia Paoloni, segreteria nazionale Filctem Cgil