Nella lotta contro la povertà occorrerebbe passare dalle parole ai fatti. Sottraendo un tema complesso – che non si presta a soluzioni semplici, perché non semplice è la questione – a una dinamica tra le forze politiche e tra queste e il governo, che rischia di avere un carattere strumentale e di non concorrere alla definizione dei più opportuni interventi.

È proprio partendo da questo semplice assunto che l’Alleanza contro la povertà in Italia – un arcipelago di sigle e associazioni di cui fa parte anche la Cgil – incontra questo pomeriggio a Roma il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (l’appuntamento è alle 17 presso la Sala Carducci di piazza della Pilotta 4).

Il problema riguarda sei milioni di nostri concittadini al di sotto della soglia di povertà. Cosa fare per contrastarlo? Per prima cosa il nostro paese ha necessità di una ripresa occupazionale, con saldi positivi e dinamiche durevoli, con l’obiettivo di aggredire – attraverso specifiche politiche per il lavoro e per gli investimenti – l’area dei senza lavoro e di quanti il lavoro lo hanno perso rafforzando – e non indebolendo, come invece avviene – gli strumenti di sostegno al reddito per disoccupazione involontaria e in costanza di rapporto di lavoro.

Pensare a un’azione attiva di contrasto alla povertà limitando il ragionamento a strumenti puramente reddituali e non invece a una politica di carattere generale, rischia di essere fuorviante e allontana in termini oggettivi la possibilità d'intervenire con una qualche efficacia.

Anche per l'insieme di queste ragioni la Cgil ha individuato un percorso, insieme a Cisl e Uil e a un nutrito numero di associazioni (per la precisione, 33), che ha portato alla proposta del Reis, il Reddito di inclusione sociale, che si pone l'obiettivo di integrare gli elementi legati alla necessità di un supporto anche reddituale con definiti e specifici percorsi d'inclusione sociale e, tra questi, in primis il lavoro.

Con alcune scelte precise. A cominciare dall’individuazione della fascia della povertà assoluta, valutata rispetto alle condizioni del nucleo familiare di riferimento. Non è una scelta legata alle questioni di sostenibilità finanziaria, ma all’esigenza e alla necessità di risposte articolate e definite tra l’ambito della povertà assoluta e quello dell’impoverimento. Riconoscere questa articolazione e la necessità di interventi appropriati è un primo punto. La seconda scelta consiste nel costruire una relazione molto stretta e vincolante, reciprocamente, tra le misure di sostegno e d’integrazione reddituale e l’erogazione di servizi attraverso percorsi di presa in carico e di inserimento/reinserimento.

Una scelta che può guardare a percorsi di carattere lavorativo, d’istruzione e formazione, di sostegno riferito ai diversi e differenti bisogni. In un’ottica che associa una misura di carattere nazionale, universale – e cioè rivolta a tutti i potenziali soggetti – agli interventi in ambito locale – a partire dal ruolo e dalle funzioni dei Comuni –, in un quadro di partecipazione e condivisione tra livello pubblico e terzo settore.

Un intervento capace di strutturare, nel tempo, un modello di efficace integrazione tra welfare locale e nazionale, partendo dalle diverse esperienze che comunque già sono presenti. Con la gradualità che occorre anche per rispondere all’esigenza di verifica nell’attuazione dello strumento e per l’obbligo di una progressività nell'incremento della spesa; ma anche con la necessità di definire tale intervento come un livello essenziale delle prestazioni, a carattere quindi universale, e non soggetto alla ricerca di stanziamenti annuali e polverizzati tra più prestazioni che tra loro non hanno spazi d’integrazione e comunicazione. Il tutto con un ruolo fondamentale da attribuire ai servizi territoriali – sociali, per il lavoro, per l’istruzione e la formazione – che è in sé un pezzo consistente della proposta.

Questa è la sfida di merito che sta nel ragionamento dell’Alleanza contro la povertà e che ha portato alla definizione del Reis. A questo riguardo, una funzione fondamentale possono giocarla il Parlamento, nell’esercizio pieno della propria funziona legislativa, e il governo, a cui abbiamo chiesto di dedicare impegno e risorse su questo problema in vista della prossima legge di stabilità.