Articolo pubblicato su “Social Europe Journal”. Titolo originale: “Strong euro is here to stay”

Il rally dell'euro nei mercati Fx (valute straniere) comincia ora ad apparire interessante: 1.2 sul dollaro, un livello mai più avuto dal gennaio 2015, subito prima dell'annuncio della Bce del suo programma di Quantitative Easing.
Quest'anno, l’euro si è rafforzato, Federal Reserve ha partorito tre aumenti dei tassi ufficiali di interesse, che secondo la teoria economica avrebbero dovuto dare ali al volo del dollaro, incoraggiando flussi di capitale nell'economia Usa. Al contrario, la Bce, esplicitamente, intende attendere molto di più dopo la già controversa, attesa fine del QE, che era come un elefante nella stanza nell'ultimo meeting dei banchieri centrali a Jackson Hole il 25 agosto.

Per risolvere l'apparente dissonanza, si dovrebbe guardare ai tassi di interesse sul mercato dei bond governativi. E infatti il differenziale tra i Treasuries Usa e i Bund tedeschi è aumentato di più di 60 punti base in sette mesi, stimolando una fuga di capitali verso i mercati dell'eurozona. Dunque, qui le aspettative interne ai prezzi di mercato dei bond stanno giocando un ruolo cruciale nel determinare la rinnovata forza dell'euro. Per certi versi è vero che la ripresa economica dell'eurozona è più forte di quanto previsto, le cifre in riduzione della disoccupazione e il supposto rallentamento dell'economia Usa (una narrativa non così sostenuta dai più recenti dati pubblicati) possono essere fattori concorrenti per spiegare la crescita dell'euro, ma l'inflazione dell'eurozona resta molto bassa e non pienamente coerente con i movimenti del tasso di cambio.

Sempre più i mercati credono che la Bce, più prima che poi, bloccherà il QE. E ci sono valide ragioni tecniche dietro questa opinione. I bund tedeschi idonei per gli acquisti della Bce sono troppo scarsi, questa volta seriamente. Uno dei segni più evidenti di una probabile, drastica riduzione del QE si trova nell'improvviso cambiamento degli schemi di acquisto della Bce sul mercato secondario.

Bund scarsi. Attraverso una prassi consolidata, una banca centrale acquista asset in modo prevedibile al fine di ridurre la volatilità e l'impatto distorcente che la sua “artificiale” domanda di bond può generare sul mercato. In particolare, la Bce si è affidata alla regola chiave del capitale: più una Banca centrale nazionale contribuisce al bilancio della Bce, più i bond governativi saranno acquistati. Per questo i bund tedeschi sono la parte dominante del programma (404 miliardi di euro), mentre solo 28 miliardi di titoli portoghesi hanno trovato la strada del bilancio Bce.

Questa regola ha avuto il vantaggio di essere politicamente neutrale e non legata alla dimensione dei debiti pubblici. Un beneficio che si è avuto al costo di rendere i bond dei Paesi core (Germania, Olanda, Finlandia) – già fortemente richiesti dai market player per la loro percepita solidità – estremamente scarsi, abbassando i loro rendimenti a livelli negativi. L'anno scorso il debito tedesco si è ridotto del 4% rispetto al Pil, grazie al fatto che i “fortunati” investitori in bund hanno accettato di restituire al governo tedesco meno di quanto avevano prestato.

Fino a marzo 2016, la Bce ha seguito rigorosamente la regola del capital key. Poi Draghi ha annunciato che sarebbe stata consentita qualche temporanea non corrispondenza per ragioni strettamente tecniche. Quello che stava accadendo allora era che i bond belgi e irlandesi idonei erano quasi esauriti e sarebbe stato necessario sostituirli con i bond di altri Paesi, la cui offerta era più abbondante (Italia e Francia). Nei mesi successivi, quella “temporanea” deviazione è diventata permanente, ma nessuno se ne è lamentato troppo; meno che mai il governo italiano.
Per di più, da aprile 2017, questa deviazione “temporanea” non è stata più insignificante, perché la Bce ha cominciato a ridurre gli acquisti di security tedesche – che da sole valgono il 15% del totale – a passo sostenuto.

Cosa stava accadendo? Era entrato in gioco un altro vincolo tecnico più stringente: un limite massimo agli acquisti del 33% per ogni emissione oltre il quale la Bce non può andare. Questa è una regola inflessibile, più difficile da aggirare di quella del capital key – altrimenti, secondo le regole sulle nuove clausole sul debito pubblico europeo (le notorie Cacs, Collective action clauses), Draghi dovrebbe acquisire come creditore troppi diritti di veto nel caso di rinegoziazione (o ridenominazione) del debito. Secondo le recenti stime di Morgan Stanley, a un tasso di 18 miliardi di euro al mese, che è la quantità che la Bce acquistava prima di “chiudere i rubinetti”, ci sarebbero voluti 4-5 mesi prima di arrivare al limite del 33%.

Dunque, molti trader già prevedono un punto di svolta nella politica monetaria della Bce, forse tra settembre e ottobre 2017. Le ambigue dichiarazioni di Draghi, associate all'assenza di concrete misure della Bce, alimentano la costruzione di posizioni speculative, mentre si sta rapidamente avvicinando la data di scadenza del dicembre 2017. Non è per caso, malgrado un meeting della Bce vuoto, pieno solo di proposizioni rassicuranti, che dal 20 luglio l'euro ha accelerato la sua corsa al rialzo. Dopo un breve attimo durante la fermata estiva, il silenzio assordante di Draghi a Jackson Hole ha rapidamente riacceso una nuova accumulazione di scambi speculativi, poiché l'assenza di informazioni fresche sul processo ha esacerbato le scommesse sui prossimi tapering del QE.

Quindi, quanto meno nei prossimi mesi, sia che Draghi annunci o no il tapering, un euro più forte è probabile che rimanga, sostenuto semplicemente dalle aspettative dei mercati. Questo sicuramente aiuterà a mitigare i crescenti costi energetici (il petrolio ha consolidato un solido guadagno del 10% da giugno), ma al tempo stesso avrà probabilmente un impatto negativo sulle esportazioni dell'eurozona verso gli Usa e l'Estremo Oriente, danneggiando la ripresa nei Paesi più deboli come l'Italia, dove le esportazioni fuori dall'eurozona sono un terzo del totale e la crescita del Pil è ben al di sotto del tasso medio di +0.6% annunciato orgogliosamente da Draghi a Jackson Hole.

Marcello Minenna è docente di Finanza matematica alla Bocconi di Milano

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