Il tema della sicurezza stradale connessa alle attività lavorative, da diverso tempo, è sotto i riflettori di numerosi osservatori. Del resto, sulla strada circolano un po’ tutti: lavoratori che si recano sul posto di lavoro o fanno rientro nella loro abitazione, coloro che la devono percorrere perché connessa alla propria attività lavorativa, quelli per cui la strada si configura come l’esclusivo luogo di lavoro. L’Inail raccoglie questo insieme anche dal punto di vista infortunistico, scindendolo nelle due fattispecie prevalenti: gli infortuni stradali in itinere e quelli in occasione di lavoro. Intendo qui concentrarmi sulla seconda fattispecie, che rappresenta circa il 30 per cento degli infortuni mortali sul lavoro, che va sicuramente ben studiata nelle diverse articolazioni, smettendo di assimilarla all’incidentalità stradale, per come quest’ultima è largamente intesa.

È noto come spesso, l’infortunio di un lavoratore che esercita la propria attività su strada, sia un camionista o un operaio impegnato nella manutenzione viaria o in un’attività di ausilio agli automobilisti, venga il più delle volte “archiviato” come incidente stradale e legato alle generiche situazioni che caratterizzano questi tragici eventi: le violazioni al codice per eccesso di velocità, l’alcol e le droghe assunte dall’automobilista, la distrazione dall’autotrasportatore. Nel mondo del lavoro, tra le cose più drammatiche cui si può assistere, è quando un camionista investe una squadra di lavoratori che operano per interventi stradali, o quando lo stesso camionista, dopo aver “causato” l’incidente/infortunio degli operai, rimane egli stesso vittima dell’evento.

Dal marzo 2013 questi lavoratori, accomunati troppo spesso in tali tragici eventi
(anche ai primi di febbraio in Veneto, a Rovigo, su una strada statale in cui hanno perso la vita due operai di un’impresa appaltatrice che riparavano buche, di notte), hanno uno strumento in più, rappresentato da un decreto interministeriale che ha avuto lo scopo di realizzare una lettura della normativa relativa alla segnaletica, necessaria per ogni intervento da effettuarsi sulle strade, anche dal punto di vista degli operatori che sono costretti a lavorare o a effettuare un intervento in presenza di traffico veicolare. Il decreto è destinato a ridurre il principale pericolo lavorativo di chi opera sulla strada, rappresentato dal rischio di investimento, configurandosi come un elemento di ausilio in più anche rispetto al rischio per i terzi, in questo caso automobilisti e autotrasportatori.

Il decreto è composto da un articolato e da due allegati. La sua importanza risiede nell’introduzione di un ambito di applicazione che ne impone il rispetto sia da parte di tutti i gestori delle strade (concessionari, enti proprietari ecc.) anche relativamente al personale direttamente impiegato, sia delle imprese appaltatrici che, per conto dei gestori o di altri committenti, svolgono attività sulla rete viaria; la previsione di elementi dell’organizzazione del lavoro in rapporto alle diverse attività da svolgere (cantieri fissi, mobili ed emergenza), ponendo particolare attenzione alle delicatissime fasi connesse alle procedure di apposizione e rimozione della segnaletica stradale, quale momento di massima esposizione al rischio di investimento per gli operatori.

Il decreto rinvia quindi a una specifica ed approfondita valutazione dei rischi e a una formazione e addestramento aggiuntivi da effettuarsi da parte dei datori di lavoro, e pone in capo ai gestori/committenti un principio di responsabilità addizionale, in particolar modo nelle fasi propedeutiche allo svolgimento delle attività su strada, rappresentate dalla costruzione dei capitolati d’appalto e dall’identificazione dei costi per la sicurezza e del lavoro. Il costo del lavoro, in particolare, deve infatti essere chiaramente individuato attraverso una precisa definizione delle risorse umane necessarie a operare in sicurezza, rispetto, ad esempio, alla diversa tipologia di strada: è sicuramente più complicato e rischioso lavorare su una strada caratterizzata da intenso traffico che non su un tracciato viario provinciale, come è altrettanto diverso operare su una strada garantita dalla presenza di una corsia di emergenza o di rettilinei. È evidente che solo prendendo a riferimento i diversi fattori di rischio derivanti, ad esempio, dai differenti tracciati viari appena indicati, l’organizzazione del lavoro e anche le modalità di allestimento della segnaletica debbano essere diverse, prevedendo, ove valutato necessario, una presenza maggiore di uomini e mezzi sin dalla fase di progettazione dell’intervento.

Occorre farla finita, quindi, con i documenti di valutazione dei rischi “fotocopia”
e ampliare la consapevolezza per uno sforzo comune (da parte dei committenti e dei gestori in primo luogo) per individuare e trasferire in forma chiara e univoca anche alle imprese appaltatrici i rischi connessi alle varie attività da realizzarsi sulla specifica tipologia di strada. Questo importante risultato, rappresentato dal decreto del 4 marzo 2013, conseguito su un tavolo triangolare, che ha visto la partecipazione dei ministeri competenti (Lavoro e Infrastrutture), delle organizzazioni sindacali e delle parti datoriali (in primis Anas e Aiscat), è stato realizzato a seguito di un avviso comune condiviso tra le parti sociali che ha individuato le finalità dell’obiettivo da perseguire e che, successivamente, è stato recepito nel Testo Unico (art. 161 comma 2 bis).

Al riguardo c’è da ricordare che sull’argomento erano state diffuse già nel 2007, da parte dell’ex Ispesl, importanti linee guida, risultato di un’imponente ricerca, richiesta dalle organizzazioni sindacali dei trasporti e dell’edilizia, che aveva individuato quanto nel settore della viabilità era stato prodotto in termini di buone procedure e buone pratiche da parte dei diversi gestori (concessionarie autostradali, Anas, enti e società stradali, Province ecc.) e che aveva fatto da base di lavoro per il tavolo costituitosi successivamente presso il ministero del Lavoro.

In questa fase c’è da segnalare che al decreto bisogna dare seguito in due direzioni, ferma restando la sua applicazione. Da un lato monitorare con serietà le casistiche degli infortuni che continuano ad accadere anche per affinare il disciplinare tecnico contenuto nell’allegato al decreto, dall’altro lato rafforzare la capacità dei controlli interni alle aziende e della vigilanza istituzionale sugli eventi, anche in forma preventiva, con l’obiettivo di un intervento efficace rispetto alle due macroquestioni da indagare, che sono chiaramente contenute nel decreto: la tipologia della segnaletica stradale utilizzata “a difesa” delle attività (quale patrimonio di conoscenza spesso esclusivo della polizia stradale nell’ambito delle attività di vigilanza istituzionali) e l’organizzazione del lavoro necessaria all’intervento stradale anche attraverso una capacità di correzione/analisi della valutazione dei rischi realizzata dal gestore e/o dall’impresa appaltatrice. Un binomio (attrezzature, intese come segnaletica, adottate/fornite, e organizzazione del lavoro per utilizzarle al meglio) che in questo spaccato del mondo del lavoro, come in molti altri campi, non può essere più disatteso.

* responsabile Sicurezza Filt Cgil nazionale