“A chi ci chiede perché abbiamo mantenuto in agenda lo sciopero generale del 12 dicembre, anche se la legge delega sul lavoro è stata ormai approvata, rispondiamo che la nostra lotta ha ancora più senso perché vogliamo stare dentro la partita dei decreti delegati. Essendo la delega abbastanza generica, cercheremo di esercitare il massimo di pressione possibile su tutti e cinque i decreti che il governo dovrà varare. La mobilitazione di queste settimane ha generato un capitale di partecipazione (e anche di simpatia) che dovremo sapere investire in questa fase e anche dopo”. Comincia da qui, dall’oggi, l’intervista con Franco Martini, segretario confederale della Cgil, con cui però cerchiamo di ragionare anche sul domani, sui prossimi appuntamenti che il movimento sindacale si troverà di fronte, a partire dalla nuova stagione contrattuale.

Rassegna Finita anche la fase dei decreti bisognerà fare i conti con una realtà modificata da questi provvedimenti. Una realtà nella quale si aprirà una nuova e certo non facile stagione contrattuale. Come sarà?

Martini Entreremo nel 2015 con una bella fetta di mondo del lavoro – sono circa 7 milioni di lavoratrici e di lavoratori – che non ha ancora rinnovato i contratti. Una parte consistente appartiene al mondo del terziario, per i quali, data la situazione difficile che sta attraversando il settore del consumo, sarà tutt’altro che facile trovare una quadra alla vertenza, ma di sicuro ci proveranno fino in fondo. A questi si aggiungeranno via via i settori per i quali si arriverà a scadenza. Un altro dato fondamentale è quello relativo al contesto economico: il 2015 sarà un altro anno di crisi. La stessa legge di stabilità stima gli effetti della manovra sul ciclo economico in una misura assolutamente irrisoria: siamo allo 0,30 di crescita fino al 2016, e allo 0,80 fino al 2018. E la disoccupazione è prevista di poco inferiore al 12 per cento. Terzo elemento, le novità del Jobs Act, con le misure relative alle tipologie contrattuali e al mercato del lavoro. Sempre che il governo, nella sua iperattività, non ci consegni anche un altro elemento che andrebbe a condizionare la stagione contrattuale.

Rassegna A cosa ti riferisci?

Martini La legge di stabilità prevede l’introduzione di un salario minimo, e lo fa con la classica formulazione generica dei provvedimenti di questo governo. Lo introduce “per i settori non interessati ai (o non regolati dai) contratti nazionali”. Detta così, potrebbe anche essere un incentivo, in una fase come questa di smottamento del sistema della rappresentanza delle controparti padronali, a una fuga di interi settori dal contratto nazionale, sostituito proprio dal salario minimo.

Rassegna Ma davanti a una realtà economica senza inflazione, con una produttività e una redditività di settore a volte residuali, un Pil negativo da anni, non c’è il rischio forte che dalle controparti venga un no deciso alla stessa possibilità di rinnovare i contratti?

Martini Il rischio c’è, e tutto. Del resto è quello che ci è stato detto a tanti tavoli contrattuali. Per questo diciamo che oggi è impossibile discutere di una prospettiva contrattuale positiva senza avanzare un’iniziativa che rilanci le politiche di settore. Senza una nuova crescita economica non riusciremo a discutere di contrattazione. Certo il panorama di quello che abbiamo fatto a livello contrattuale (come del resto il panorama dell’economia italiana) è variegato: ci sono settori che hanno chiuso con aumenti salariali poco significativi; altri che sono riusciti a chiudere con livelli salariali collocati a livello dell’Ipca e forse anche qualcosa di più. Ma quello cui hai fatto riferimento è un pericolo reale cui si fa fronte in un solo modo: bisogna che il sistema produca più ricchezza. Possiamo fare anche l’automobile più bella, sotto il profilo della modellistica contrattuale. Ma se poi non c’è la benzina, che cosa contratti? Il governo potrebbe anche inventarsi una riforma del mercato del lavoro che gli operai glieli regali, alle imprese. Ma se queste non hanno da vendere, se non hanno mercato, dell’operaio gratis non sanno che farsene. L’occupazione non la crea una legge, la crea la ricchezza prodotta. La contrattazione, che redistribuisce la ricchezza, ha bisogno che ve ne sia da redistribuire. Noi non possiamo pensare di fare una contrattazione di qualità in uno scenario quadriennale che prevede una crescita del Pil inferiore all’1 per cento.

Rassegna A proposito di modellistica contrattuale, cosa bolle in pentola? Il governo, nella discussione sul Jobs Act, ha parlato anche di ridimensionamento del contratto nazionale e di privilegiare i contratti di secondo livello, come del resto amerebbe Confindustria...

Martini Su questi temi la segreteria sta preparando una riflessione, i cui titoli sono fortemente contestualizzati con l’attualità che stiamo vivendo. Il primo capitolo non può non essere sull’impatto della contrattazione con gli effetti che avrà il Jobs Act nella struttura degli organici aziendali. Il contratto a tutele crescenti sarà accompagnato da una vera semplificazione delle tipologie contrattuali? Il provvedimento contiene una frase sulla semplificazione. Ma se non viene fatta una scelta formale, come fece la Fornero abolendo il contratto di inserimento (una delle pochissime cose giuste di quella riforma), nel rapporto con le aziende ci troveremo sempre di fronte a una rincorsa al ribasso. Per queste ragioni dovremo fare uno sforzo per riportare al centro l’organizzazione del lavoro, a partire dal governo degli orari. Il governo dice di voler aumentare l’occupazione, ma le imprese puntano a intensificare gli orari di lavoro, pensando di recuperare su questo terreno la produttività perduta. È sconcertante aver reintrodotto la categoria dei “fannulloni”, come si è sentito in occasione del dibattito sull’articolo 18, che fa il paio con l'attacco a importanti tutele, come il diritto alla carenza nei primi tre giorni di malattia, all’insegna della lotta a un presunto eccesso di assenteismo. Questo primo punto è dirimente per tutti. Perché nella scorsa stagione è rimbalzato su tutti i tavoli contrattuali: tutti i settori e gran parte delle aziende hanno cercato di riversare sul lavoro, sul costo del contratto di lavoro, della tipologia di lavoro utilizzata, gli effetti della crisi complessiva. Quindi l’impatto del Jobs Act sulla contrattazione è il primo elemento sul quale dovremo definire una posizione comune tra tutte le categorie, perché è chiaro che la soluzione trovata in un settore non potrà non rimbalzare anche sugli altri tavoli.

Rassegna E per quanto riguarda il futuro del contratto nazionale?

Martini È il secondo punto. È chiaro che l’effetto combinato del privilegiare il secondo livello e dell’introduzione del salario minimo può portare a una lenta agonia del contratto nazionale. Il cui ruolo va invece difeso, soprattutto per alcuni settori in cui sappiamo che il secondo livello non può essere esercitato, se non in misura assai marginale.

Rassegna Puoi anticiparci rapidamente gli altri punti della discussione?

Martini Innanzitutto, il tema della partecipazione. La crisi ha accentuato la riflessione sulla necessità di immaginare un maggior coinvolgimento della rappresentanza del lavoro nella conduzione delle aziende. È una discussione che dobbiamo fare, anche se quando si prendono ad esempio certi modelli, vedi quello tedesco, non va sottovalutato il fatto che la Germania ha un decimo delle nostre aziende e che quel modello funziona nelle grandi aziende. E dunque dovremo pensare ad altre forme. Comunque, quando il tema verrà sollevato, la Cgil non può farsi trovare impreparata e dunque ne dovremo discutere. Altro tema sul quale la Cgil deve essere sempre meno diffidente è quello della bilateralità: dobbiamo mantenere la funzione complementare dello strumento della bilateralità e dei fondi contrattuali. Non possiamo immaginare un ruolo sostitutivo, anche per il costo eccessivo che avrebbe. Ma il tema va affrontato, anche per evitare che ognuno vada per conto suo e ci si trovi davanti a un vestito d’Arlecchino, in cui c’è tutto e il contrario di tutto. La Cgil ha già fatto dei passi avanti: ne ha discusso in un direttivo nazionale, poi nel settore del commercio c’è stato un importantissimo accordo fatto dalle Confederazioni con Confcommercio sulla governance, firmato da Camusso Bonanni e Angeletti, che introduce criteri di trasparenza nella bilateralità. In settori particolarmente destrutturati, avere una rete protettiva, frutto della contrattazione, può aiutare la stessa contrattazione nell’esercitare le necessarie tutele e anche le necessarie garanzie di esigibilità delle conquiste contrattuali.

Rassegna C’è poi il tema dell’inclusività, che ha costituito l’anima dell’ultimo congresso della Cgil...

Martini Dovremo dimostrare, innanzitutto a chi ci ha accusato di non rappresentare il mondo del precariato, che la contrattazione inclusiva ha un senso. Del resto la Cgil e il sindacato hanno già fatto esperienze di contrattazione inclusiva in alcuni settori. Vorrei ricordare la tipologia dell’associato in partecipazione, contro la quale abbiamo fatto una battaglia, che dovremo proseguire. Un’altra esperienza è stata quella con i tirocinanti nel settore degli studi professionali, che ha contribuito a determinare il risultato dell’inserimento, nel contratto nazionale, dell’esperienza del praticantato che, sino all’ultimo rinnovo, era affidato alla discrezionalità dello studio e spesso era un esercizio lavorativo erogato anche a costo zero. Nel nuovo scenario, contraddistinto dal contratto a tutele crescenti, la contrattazione, per essere inclusiva, deve innanzitutto proporsi l’obiettivo di un processo di stabilizzazione per chi non ha un lavoro sicuro. Con le aziende che nella contrattazione ci chiederanno di continuare a fare ricorso ai contratti a termine, dovremo batterci perché facciano ricorso all’altra modalità.

Rassegna E da ultimo, ma non per importanza, c’è il settore pubblico…

Martini È una situazione clamorosa. Tutti pensano che siamo in agitazione perché da sei anni non si rinnovano i contratti e quindi gli stipendi sono fermi. Certo che scioperiamo anche per questo. Ma c’è anche un altro motivo. Che riguarda la riforma della pubblica amministrazione. Mettere in frigorifero la contrattazione nel pubblico impiego significa estromettere il lavoro pubblico dal processo di riforma, significa dire “io riformo la pubblica amministrazione senza i lavoratori, o magari contro i lavoratori”. Ma senza coinvolgere il lavoro, la riforma della pubblica amministrazione non si fa.