Così come per i disabili, anche per i soggetti extracomunitari la legislazione italiana vigente prevede, ormai dal 1998 (Legge Turco-Napolitano), una procedura speciale per la loro assunzione, che si differenzia dalla ‘normale’ pratica della c.d. assunzione diretta (prevista per lavoratori italiani o stranieri cittadini europei che sono integralmente equiparati ai primi).

Da sottolineare sin da ora è che il carattere della specialità riguarda solamente le modalità di assunzione dello straniero extracomunitario, e non tutto il rapporto di lavoro, che risulta sottoposto alla stessa disciplina lavoristica dei colleghi di cittadinanza italiana o comunitaria. Il punto è stato pure chiarito dalla Corte costituzionale, con sent. 454/98.

Nel 2002, con la legge “Bossi-Fini” (n. 189) – oltre che introdurre norme in materia di asilo, espulsione ed immigrazione – il legislatore nazionale è andato ad apportare modifiche consistenti al testo previgente, il D.Lgs. 1998.

Risulta interessante esaminare la procedura, di carattere amministrativo, necessaria affinché un datore di lavoro possa assumere un lavoratore extra-UE con contratto di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato) senza incorrere in sanzioni penali quali l’arresto da 3 mesi ad 1 anno e l’ammenda pari a € 5000 per ciascun lavoratore impiegato irregolarmente (art. 18 co.12).

Innanzitutto viene istituito in ogni Prefettura uno sportello unico per l’immigrazione al quale si deve rivolgere il datore di lavoro italiano per procedere alla richiesta (nominativa o numerica) di assunzione. Lo sportello unico, entro 40 giorni, rilascia - dopo aver sentito il questore - in ogni caso il nulla osta (la cui validità è di massimo 6 mesi) e trasmette i documenti necessari agli uffici consolari, i quali (effettuate le verifiche incrociate con vari uffici competenti, per rilevare eventuali pendenze penali o condizioni particolari) rilasciano un visto di ingresso.

Una volta arrivato in Italia, il lavoratore deve recarsi entro 8 giorni presso lo sportello unico, per firmare il c.d. “contratto di soggiorno” ed ottenere in Questura il permesso di soggiorno per motivi di lavoro (la cui durata è diversificata a seconda del tipo di rapporto di lavoro subordinato).

Attraverso questo contratto il datore si impegna a garantire una idonea sistemazione abitativa al lavoratore, nonché a garantire la copertura delle spese per un eventuale rimpatrio.

Per altro non si può nemmeno parlare di un contratto a prestazioni corrispettive (art. 1321 c.c.) poiché le parti contraenti non sono datore di lavoro e lavoratore, essendo il testo improntato all’imposizione con finalità pubblicistiche (es. ordine pubblico) di garanzie essenzialmente patrimoniali da parte del datore di lavoro. Il modulo per il contratto di soggiorno è reso disponibile dal Ministero dell’Interno ( http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0520_Modulo_per_il_contratto_di_soggiorno.pdf ).

Tutte queste previsioni hanno, ad occhi attenti e critici, carattere disincentivante nei confronti di datori di lavoro che volessero assumere lavoratori stranieri extra-UE alle proprie dipendenze.

Orientamento in linea con l’intera normativa vigente in materia di immigrazione, che in queste settimane è coinvolta in ampi dibattiti a cui partecipano tutte le forze politiche e sociali, auspicando un intervento concreto da parte della comunità europea.

Si tratterà di emanare una direttiva europea? Anche questa andrà recepita dal legislatore nazionale.
Si badi però che l’UE già in parte si occupa di materie come immigrazione, asilo, rifugiati etc., in particolar modo nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in cui si dichiarano obiettivi in linea con i principi più generali del diritto internazionale.