“Nell'industria le donne occupate segnalano per il biennio 2009-2010 un ritmo di discesa doppio rispetto agli uomini (-12,7 e -6,3%). Il 30% delle donne occupate svolge un lavoro part-time e la percentuale che dichiara ‘non scelta’ tale modalità, ma imposta dalla mancanza di occasioni di impiego, sale da un terzo del 2004 al 50% odierno. Nell'occupazione a tempo determinato un lavoratore su due è donna e il 30% è una donna giovane. A due anni dalla nascita di un figlio, una madre su quattro, in precedenza occupata, non ha più un lavoro”. La lettura “al femminile” dei dati Istat fatta da Laura Pennacchi su L’Unità è sconfortante. “A fronte di tutto ciò non stupisce che per l’Italia il contributo delle donne ai redditi della coppia si collochi in fondo alla classifica europea: il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce redditi, mentre tale valore è del 19,8% nella media Ue ed è addirittura al di sotto del 4% nei paesi scandinavi. Le donne, però, svolgono una quota esorbitante del lavoro domestico e di cura: in una coppia su tre la donna non lavora e si occupa da sola della famiglia, in una coppia ogni cinque, anche quando lavora e guadagna come il partner, la donna si accolla la maggior parte di tale lavoro”.

“Se correliamo questi dati allo stato pietoso dei servizi, alla vistosa diminuzione della spesa sociale specie nel Sud, alla differenziata qualità territoriale delle prestazioni sanitarie – conclude Pennacchi – , sorge il dubbio che in Italia le donne siano usate come il vero ammortizzatore sociale e come la surroga di un' offerta universalistica di servizi che dovrebbe essere garantita dallo Stato”. “Urge una terapia shock che solo l'operatore pubblico può mettere in atto varando un ‘Piano straordinario per la creazione di lavoro per giovani e donne’”.