Industria è una parola che può richiamare un'idea contraria all'ambiente, vedi le note vicende nazionali che lo hanno reso quasi un sinonimo di inquinamento. "Ma non è vero che sono sinonimi: esistono tanti modi per fare industria, ci sono straordinarie possibilità". Il segretario generale, Susanna Camusso, riassume così la posizione del sindacato di Corso d'Italia sulle strategie energetiche per il nostro paese e, più in generale, per l'Europa, nel corso della Conferenza Cgil sull'energia organizzata oggi, 17 luglio, a Roma nella sede nazionale della confederazione.

Fulcro del confronto odierno è stato il pacchetto "Clima energia" approvato dalla Commissione Ue all'inizio di quest'anno. "Ora l'Europa - osserva la dirigente sindacale - deve decidere se cambiare passo, dopo le elezioni, e decidere di investire davvero per creare lavoro. Il 20 per cento della manifattura sul Pil entro il 2020 è un obiettivo lontano, senza gli investimenti diventerà un miraggio". Serve dunque un cambio di mentalità, che in tema di energia si può declinare su settori che vivono di filiere come chimica o edilizia. Ma soprattutto sul siderurgico, che alimenta il 50 per cento dell'industria italiana e nonostante ciò viaggia senza certezze - anzi col rischio di smantellamento - per un'evidente assenza di strategie interne. "Non ci si può affidare alla buona volontà della singole imprese - osserva Camusso - La stagione di crollo che stiamo vivendo richiede scelte di politiche industriali che rendano disponibili nuove risorse".

Di "sfida epocale" per energia e ambiente ha parlato il responsabile delle Politiche energetiche per la Cgil, Antonio Filippi: "Teniamo conto che siamo il secondo paese manifatturiero dell'Europa e che da noi si riscontrano le maggiori sensibilità ambientali. Però senza senza lo sviluppo industriale non si può mantenere lo stile di vita che conosciamo". Il ponte per passare dal carbone all'energia pulita, ha ricordato, è il gas naturale, "ma su questo l'Europa non dev'essere ricattata dagli altri paesi, deve avere un mercato interno vero, anche con i rigassificatori, accelerare la diversificazione degli approvvigionamenti, spostarsi sulle rinnovabili. Bisogna ragionare senza pregiudizi, verificando caso per caso nel massimo rispetto delle sicurezze ambientali e delle popolazioni locali. Ma non possiamo fare a meno delle risorse interne in queste condizioni".

"E' noto l'impegno del governo italiano nel chiedere e sostenere una svolta della politica economica europea, comprese le politiche energetiche". Così Claudio De Vincenti, viceministro dello Sviluppo economico, ricordando le priorità italiane del semestre: "Completamento del mercato unico dell'energia, definizione dei meccanismi di governance del pacchetto Clima-energia, sicurezza energetica che passa sia per le infrastrutture per diversificare le fonti, sia attraverso relazioni con gli altri paesi produttori di energia".

"Non è scontato - aggiunge - che la green economy, che sicuramente è il futuro, sia da subito una vittoria sicura per tutti. Coniugare crescita e ambiente è un gioco in cui c'è chi guadagna e c'è chi perde. Se ci illudiamo che tutti ci guadagnano, non governiamo nulla. Dobbiamo essere consapevoli - osserva l'esponente dell'esecutivo - che gli incentivi devono essere proporzionati ai costi: non si possono dare tassi di rendimento come minimo 'non plausibili', altrimenti si fa un danno proprio alle rinnovabili che alla fine diventano insostenibili". A suo giudizio, dunque, l'economia verde è un processo che chiede di essere governato, "ciò vuol dire che si fanno scelte anche se la ricetta sicura non ce l'ha nessuno". Oggi la "priorità delle priorità" per il governo, aggiunge, è l'efficienza energetica. Poi l'Italia deve "sviluppare le rinnovabili, riducendo via via gli incentivi", ricordandosi che ancora "per un lungo periodo avrà bisogno del gas per aiutare la via della decarbonizzazione, ma su questo c'è bisogno di infrastrutture".

"Stiamo tornando al monopolio sull'energia elettrica, fra qualche anno resterà solo l'Enel, è evidente che il processo di liberalizzazione non regge il peso della crisi". Così Emilio Miceli, segretario generale della Filctem. "L'energia costa troppo - aggiunge - dipendiamo da altri per l'80 per cento, perdiamo tutte le filiere energivore che hanno un valore fondamentale per interi cicli industriali: la strategia energetica in tempo di crisi sta aggravando le condizioni generali, e non si può dire che 'l'intervento va benissimo quando il malato è morto'. Il rischio declino è figlio anche del fatto che un pezzo dell'industria non ce la fa più a queste condizioni, a questi costi". Infine una frecciata a chi critica la decisione di spalmare gli incentivi fiscali per le rinnovabili: "Non è un dramma: lo Stato sta rinegoziando un debito, lo avesse fatto con gli esodati, anziché cancellare il loro passato, avremmo qualche problema in meno in questo paese". (mm)