Nellambito del bilancio degli accordi realizzati nei due anni che sono passati dal varo del Piano del lavoro, la Cgil ha presentato oggi (19 novembre) a Roma il Patto per il lavoro dellEmilia Romagna, con gli interventi di Gaetano Sateriale, coordinatore del Piano del lavoro, di Riccardo Sanna, coordinatore area politiche di sviluppo, Vincenzo Colla, segretario generale Cgil Emilia Romagna, Patrizio Bianchi, assessore Regione Emilia Romagna, e con le conclusioni del segretario generale della Cgil Susanna Camusso

Il Piano del lavoro della Cgil poggia, fin dalla sua prima definizione, su due “motori” distinti, ma complementari che lo devono sostenere e muovere, in alternativa all’austerità, e farne un attivatore di lavoro e innovazione. Il primo configura la necessità di una politica economica nazionale (decisa e guidata dal governo), che - partendo dalle arretratezze del Paese, attraverso investimenti pubblici mirati - diffonda innovazione e crei direttamente nuova occupazione. Il secondo “motore” avvia il Piano del lavoro attraverso una nuova contrattazione sociale territoriale, diffusa nelle regioni e città italiane, che muova dai nuovi bisogni sociali e sappia definirne risposte innovative utilizzando diversamente le risorse esistenti.

“Speranza” implicita nel Piano, quella di determinare un punto di incontro programmatico in cui indirizzi top down e spinte negoziali bottom up si incontrassero in nuovi luoghi di programmazione condivisa. Così non è stato (sinora) per esplicita mancanza di volontà programmatica del governo, che preferisce l’emergenza, gli interventi a spot e la decontribuzione generalizzata alle politiche di indirizzo e di impiego coerente delle risorse. Al contrario, da quando il Piano del lavoro è stato presentato (nel 2013), sono state svolte da parte della Cgil attività preparatorie (formative e politiche) in quasi tutte le regioni italiane (17 su 20) e realizzati primi accordi regionali unitari che si richiamano al Piano. Ciò è accaduto in Basilicata, Calabria, Sicilia, Puglia, Lazio, Umbria, Toscana ed Emilia Romagna. A questi accordi regionali si possono affiancare l’accordo provinciale di Trento e quelli, promossi dai coordinamenti giovanili del sindacato, nelle città di Bari, Pescara, Milano e Bergamo.

Si tratta, come si vede, di un’attività consistente, che riguarda un ventaglio molto ampio di temi e obiettivi, che vanno dalla lotta alla povertà all’individuazione dei servizi di welfare da migliorare, alla condivisione di indirizzi di sviluppo, alla realizzazione di spazi per coworking di imprese giovanili, al controllo sui subappalti. Anche la varietà dei percorsi intrapresi è ampia. Alcune esperienze hanno prodotto veri e propri protocolli “concertativi” tra parti sociali e governi regionali o locali, altre si sono realizzate attraverso la definizione di “piattaforme” dettagliate di parte sindacale, cui hanno fatto riscontro coerenti (ma separati) provvedimenti legislativi o impegni programmatici delle regioni.

È importante notare che in alcune realtà le relazioni tra i soggetti firmatari dei protocolli continuano e producono ulteriori momenti di confronto (a partire dalla Basilicata, in cui è stato realizzato il primo accordo “concertativo” regionale), allo scopo di verificare, approfondire o ampliare gli obiettivi già condivisi. A tutto ciò va sommata la consistente mole di intese derivanti dalla più sperimentata contrattazione sociale territoriale (circa 800), che vengono realizzate ogni anno nei Comuni italiani, soprattutto del Centro-Nord (il 70%).

L’ultimo accordo regionale realizzato in ordine di tempo, Il Patto per il lavoro dell’Emilia Romagna si caratterizza per alcuni originali tratti formali, oltre che per la ricchezza e ampiezza dei temi trattati. Ricordiamo soprattutto l’obiettivo di accrescere il valore aggiunto regionale e dimezzare il tasso di disoccupazione, posto esplicitamente al centro del Patto, l’esplicito ruolo “codecisionale e partecipativo” rivendicato ed esercitato dalle organizzazioni sindacali di quella regione e, infine, la procedura di validazione aperta a tutti i cittadini che la Cgil dell’Emilia Romagna ha attuato nel mese di ottobre.

Un bilancio molto provvisorio di questa rilevante esperienza complessiva di avvio del Piano del lavoro suggerisce la necessità di un maggiore coordinamento nazionale delle iniziative, pur senza pregiudicarne le specificità, e di una più stretta coerenza tra protocolli regionali e accordi applicativi e integrativi a livello dei territori. Per questo è essenziale che si innovi l’esperienza della contrattazione sociale territoriale, estendendone contenuti e diffusione in modo da farne realmente, come indicato, uno dei “motori” portanti del Piano del lavoro.