Si lavora senza sosta al pronto soccorso dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli, con turni che vanno dalle 8 alle 12 ore al giorno. L’ambulatorio del nosocomio, che è uno dei centri più importanti d’Europa, conta circa 500 accessi al giorno. “E’ come essere in guerra, in una sola giornata può capitare a ognuno di noi di visitare anche 80 bambini”, racconta Gabriella Andolfi, una dei 18 medici in servizio al pronto soccorso. Troppo pochi, dicono, per un ambulatorio con un tale numero di utenti.

“Dovremmo essere almeno in 22”, prosegue Gabriella che l’anno prossimo compirà dieci anni vissuti al pronto soccorso, tutti con contratti precari a scadenza semestrale. Come del resto atipici sono i contratti dei suoi 17 colleghi. “Sono cresciuta tantissimo come medico ma la precarietà è un massacro”, si sfoga la dottoressa, che un anno e mezzo fa, dopo la maternità, con una bimba di tre mesi non si è vista rinnovare il contratto ed è dovuta restare ferma per più di 4 mesi.

Perché tra i medici che lavorano nelle strutture d’emergenza la precarietà spesso è la regola. Soprattutto in regioni come la Campania o il Lazio sottoposte, negli ultimi anni, al piano di rientro e quindi al blocco del turnover. Ma la situazione non è migliore neanche in Calabria, Puglia, Sicilia. “In tutta Italia i medici precari sono un esercito di circa 10mila persone – spiega Massimo Cozza, segretario generale Fp Cgil medici - senza contare tutto il mondo che non viene neppure registrato di precari invisibili, cosiddetti ‘a gettone’, che svolgono prestazioni a ore. Una situazione destinata a peggiorare con il decreto sulla spending review che taglia ulteriormente il finanziamento alla sanità pubblica”.

“Quello di utilizzare contratti atipici non è altro che un escamotage – denuncia Massimo Magnanti, segretario generale del sindacato professionisti emergenza sanitaria – che senso ha fare un contratto a progetto a un medico di emergenza?”. Alla carenza di personale spesso si sopperisce con il lavoro straordinario o con l’utilizzo di medici provenienti da altri reparti. “Spesso i medici d’emergenza debbono dedicare una grande quantità di tempo e di energie ai malati in barella che stazionano per giorni nei pronto soccorsi in attesa di un posto letto”, sottolinea Magnanti.

A volte i turni vengono organizzati secondo vecchie leggi in base alle quali bastano 20 minuti per visitare un paziente. Ma “oggi un paziente che arriva al pronto soccorso ha bisogno di tecnologie, si dovrebbero calcolare almeno 30 minuti per ogni paziente - racconta Giovanna Esposito, dirigente medico pronto soccorso all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore e segretario regionale del sindacato professionisti emergenza sanitaria -. I turni sono sempre più massacranti e spesso non assicurano i necessari tempi di riposo. Bisognerebbe essere superman”.

“Nell’ospedale di Frattamaggiore in provincia di Napoli siamo in 16 a fronteggiare circa 90mila accessi all’anno mentre cinque anni fa eravamo in 24 - spiega Giosuè di Maro, segretario regionale Fp Cgil Campania Medici -. Dal 2007 fino al 2011 sono andate in pensione settemila persone tra medici e infermieri e non sono state rimpiazzate. Così non si può andare avanti”.

A Roma niente ferie quest’anno per i sette medici che lavorano al servizio di trasporto neonatale del Policlinico Umberto I, tutti precari tranne uno, per un organico che prevede 11 medici. “Non siamo ragazzine, siamo tutte madri di famiglia anche ultra quarantenni – racconta una di loro che per comodità chiameremo Gaia – siamo precarie da 10, 12 anni. La situazione è insostenibile e la gente scappa in regioni dove è più facile avere contratti di lavoro migliori. Medici che vengono formati da noi e che poi portano la loro professionalità altrove”.

D’altronde l’Umberto I è uno degli ospedali con la più alta percentuale di precari del Lazio. In totale nei vari servizi si contano circa 240 contratti atipici. “Siamo preoccupati – commenta Stefano Mele, Cgil medici Roma e Lazio – nella spending review non c’è una riga sui precari e temiamo che non venga revocato il precedente decreto Brunetta che prevedeva il dimezzamento della spesa destinata ai rapporti di lavoro a tempo determinato. Così non si può andare avanti”.