Le condizioni economiche e sociosanitarie dei pensionati Spi residenti nei comuni della Città Metropolitana di Bologna sono state al centro della ricerca “Ci hanno detto che”, condotta da Ires Emilia Romagna e commissionata dallo Spi Cgil di Bologna, indagine che ha raccolto le testimonianze di quasi 11mila pensionati e pensionate (Escluso il circondario Imolese che, come si sa, è rappresentato da una altra organizzazione territoriale, lo Spi Cgil di Imola).

Molteplici le ragioni che hanno portato alla realizzazione di una ricerca che ha come oggetto lo studio della condizione degli anziani: la durata della crisi economica e sociale - che non ha risparmiato il territorio emiliano-romagnolo - i tagli allo stato sociale e alle pensioni, la caduta di fiducia nei tradizionali canali di connessione tra cittadini ed istituzioni, le naturali ricadute che lo stesso sindacato dei pensionati ha vissuto nel rapporto con i propri rappresentati.

Tutto questo in un contesto sociale che, anche per il 2015 conferma (Istat) un processo d’invecchiamento della popolazione tutt’altro che in calo. I dati relativi all’ultimo bilancio sociale raccontano una realtà, quella italiana, caratterizzata da 6,5 milioni di pensionati che possono contare solo su entrate inferiori ai 1.000 euro mensili; 1,88 i milioni di pensionati italiani sotto i 500 euro al mese.

A questo quadro si aggiungono i recentissimi dati rilasciati da Istat nell’ultimo rapporto relativo al “reddito e le condizioni di vita” che segnala come in Italia oltre una persona su quattro sia risultata a rischio povertà o esclusione sociale nel 2014. Nonostante povertà e stato di grave deprivazione abbiano fatto registrare un minimo dal 2011, il rapporto elaborato dall’istituto nazionale di statistica non nasconde comunque dati oggettivi: In Italia il 28,3% delle persone è a rischio povertà, tasso questo superiore di quattro punti percentuali a quello medio dell'Unione europea, che nel 2014 è risultato pari al 24,4%. L’11,6% vive in famiglie gravemente deprivate e il 12,1% in famiglie a bassa intensità lavorativa. La situazione registrata è risultata inferiore solo a Romania (40,2%), Bulgaria (40,1%), Grecia (36,0%), Lettonia (32,7%) e Ungheria (31,1%) e su livelli «molto simili» a quelli di Spagna (29,2%), Croazia e Portogallo. Il 49,5% degli italiani, infine, dichiara di non potersi permettere una settimana di ferie all'anno lontano da casa ed il 38,8% ha dichiarato di non poter sostenere una spesa imprevista pari a 800 euro.

La ricerca lanciata in concomitanza della campagna di rinnovo del tesseramento e sviluppata nel corso del 2015 ha messo a fuoco tematiche ancora attuali come la condizione reddituale, abitativa, salute, sicurezza e socialità. Sul tema della condizione abitativa si registra l’unico dato positivo, l’83% degli intervistati sono proprietari della propria residenza, non va comunque scordato che il 5% è sostanzialmente “costretto” a vivere con altri in quanto privi delle condizioni economiche e/o di salute necessarie per avere una condizione abitativa autonoma.

Più allarmante la condizione economico-reddituale dei pensionati bolognesi: il 27% dichiara una situazione di conclamata sofferenza caratterizzata da difficoltà nell’arrivare a fine mese (ben 3 su 4 dei rispondenti), ridotta possibilità di andare in vacanza almeno una volta all'anno (solo 1 su 5) e totale impossibilità nella capacità di fornire aiuto economico a figli e/o nipoti. A questi si aggiunge un altro 42,6% che riesce a raggiungere una condizione accettabile solo facendo molta attenzione alla gestione delle spese, riducendo al minimo le uscite - anche solo per mangiare una pizza - e riducendo le risorse per concedersi anche una sola vacanza annuale. Il quadro di incertezza peggiora se si tiene in conto che spesso i pensionati intercettati sono chiamati ad aiutare figli e nipoti che hanno perso il lavoro o che ne hanno uno estremamente precario.

Altro tema affrontato ha riguardato la condizione socio-sanitaria dei pensionati, anche in questo caso il 30% degli interpellati ha denunciato una condizione di forte fragilità socio-sanitaria, caratterizzata da uno stato di salute problematico, socialità ridotta (l’11% non esce mai di casa durante il giorno, l’80% mai di sera) e forte rischio di esclusione; 4/5 di loro dichiara di sentirsi regolarmente solo. A questi si somma un altro 36% che denuncia una situazione problematica che solo attraverso un tessuto sociale solidale riesce ad essere percepita comunque come una condizione accettabile.

Chiamati a partecipare alla costruzione di un elenco di ambiti di intervento i pensionati intercettati dall’indagine hanno individuato come più cogente l’elaborazione di proposte relative alla sfera economico-reddituale, seguita da quella sanitaria e quella della sicurezza.

Nella scala di priorità individuata dai rispondenti è risultato prevalente l’interesse rivolto alla riduzione dei tempi di attesa per visite e accertamenti diagnostici, seguite immediatamente dopo dalla necessità di intervenire per aiutare le persone che hanno perso il lavoro, utilizzare i cassaintegrati in lavori di pubblica utilità, aiutare le famiglie con un familiare non autosufficiente, inasprire la lotta all’evasione fiscale, ridurre la tassazione sulle prime case, migliorare la manutenzione delle parti comuni (marciapiedi, piste ciclabili, strade, eliminazione barriere architettoniche) e contenere le rette dei servizi educativi e assistenziali.

Se non sorprendere il dato relativo alla necessità di ridurre il tempi di attesa in ambito sanitario, è sicuramente interessante invece soffermarsi sul tema della solidarietà intergenerazionale emersa dalle risposte dei pensionati. I soggetti intercettati hanno infatti espresso un forte orientamento all’universalismo, considerando prioritari non solo gli interventi economici reddituali rivolti a loro stessi, ma anche quelli per le generazioni più giovani, e nello specifico per chi risulta disoccupato e inoccupato, elemento questo legato anche alla crescente difficoltà di fungere da aiuto economico.

Altro elemento sul quale è interessante soffermarsi è il grado di partecipazione dei pensionati ad attività di cura presso i propri familiari (in prevalenza nipoti e genitori più anziani) e ad attività di volontariato sia formale (presso organizzazioni strutturate sul territorio), che informale (ad esempio presso i propri condomini più anziani). Rispetto alle rappresentazioni che mettono l’accento sui rapporti di dipendenza che si instaurano durante l’età anziana, i soggetti coinvolti dall’indagine hanno contrapposto uno scenario permeato da attività socialmente utili e presenza sul territorio, andando dunque a confermare il loro protagonismo in quanto erogatori di un vero e proprio welfare, elemento di fondamentale importanza nel contesto nazionale italiano caratterizzato da un welfare familistico.

In ultima battuta la ricerca ha toccato il tema dell’utilità percepita dai pensionati SPI rispetto alle attività svolte dai centri servizi Cgil ed alle iniziative/campagne promosse da SPI e CGIL. Assolutamente positiva la valutazione restituita sulle attività svolte dalle singole Leghe SPI, sul servizio fiscale svolto da Teorema e sul Patronato Inca. Tema “caldo”, questo, alla luce delle attualissime polemiche legate ai tagli delle risorse previste. Elemento sul quale inoltre rimane interessante riflettere è l’alta percentuale di intervistati che dichiara di non conoscere le iniziative promosse dallo SPI e più in generale dal sindacato. Si rafforza pertanto, ancora una volta, l’idea che il sindacato abbia e debba avere sempre più un ruolo decisivo nella rottura dell’isolamento sociale.

Altri sono gli aspetti che la ricerca consente di approfondire: tra questi le differenze territoriali della condizione degli anziani, ed il giudizio sulle amministrazioni comunali di riferimento.

I risultati completi della ricerca sono scaricabili al seguente link.

Carlo Fontani e Assunta Ingenito sono ricercatori Ires Emilia Romagna