La crisi economica e sociale che investe il paese non risparmia neppure il settore elettrico, vuoi per il vistoso calo dei consumi, vuoi per la complessità dell'iter autorizzativo per i nuovi investimenti, vuoi per la robusta crescita delle fonti rinnovabili con le conseguenti ricadute nel settore termoelettrico. E i riflessi inevitabili sull'occupazione si fanno sentire.

L'Enel e i sindacati degli elettrici Filctem Cgil, Flaei Cisl, Uilcem Uil sono corsi ai ripari e hanno fatto da apripista, siglando un accordo – particolarmente apprezzato per avere scongiurato il ricorso agli ammortizzatori sociali – per mezzo del quale si potrà “gestire” nel biennio 2013-2014 la fuoriuscita di quasi 3.500 lavoratori (su 36.000). La sfida è di quelle da far tremare i polsi: mettere in atto tutte le leve possibili per preservare i livelli occupazionali, reimpiegarli, applicando misure non traumatiche, con gli obiettivi dichiarati di migliorare efficienza e contenere i costi.

Il banco di prova è quello di realizzare condizioni di ricambio generazionale, attraverso l'istituto dell'apprendistato; intese per favorire mobilità e riqualificazione professionale, part-time, telelavoro; valorizzare la formazione permanente; recuperare il pieno utilizzo delle risorse interne: una pluralità insomma di strumentazioni, interamente affidate alla capacità negoziale e al confronto preventivo tra le parti nello spirito del nuovo modello di relazioni industriali sottoscritto il 17 luglio 2012. E poi, grazie all'utilizzo dell'art. 4 della legge 92/2012 (la “riforma” del mercato del lavoro della ministra Fornero, per intenderci), potrà essere consentito l'accesso alla tanto agognata pensione, negata dall'altra riforma Fornero.

In soldoni, l'Enel potrà “prepensionare” i suoi dipendenti, ma completamente a suo carico, accollandosene le spese e versando fidejussioni che coprano un ammontare uguale all'assegno pensionistico di cui i lavoratori avrebbero goduto in condizioni pre-riforma. Infatti quella norma prevede la possibilità di stipulare intese aziendali per agevolare l'esodo incentivato di dipendenti ai quali manchino fino a 4 anni al raggiungimento dei requisiti pensionistici: in questo caso l'impresa si impegnerà a corrispondere all'Inps l'importo della pensione cui avrebbero diritto in base alle regole vigenti.

“E' evidente – esordisce Giacomo Berni, segretario nazionale della Filctem – che questa intesa si propone di garantire la continuità occupazionale nel Gruppo dove – val la pena ricordare – il turn over supera il 10% annuo, e riattivare così l'ingresso di giovani diplomati e laureati per garantire le competenze necessarie in previsione dell'uscita dei lavoratori più anziani”.

Anche un concorrente di Enel sul mercato elettrico, il gruppo tedesco E.On. che opera in Italia con 1.800 lavoratori, ha definito – insieme ai sindacati – regole e strumenti per gestire in modo anche qui non traumautico eventuali eccedenze di personale derivanti da processi di riorganizzazione (a rischio circa 200 lavoratori nelle centrali di Ostiglia, Tavazzano, Fiumesanto, Terni, secondo le dichiarazioni di E.On).

Certo, c'è la scelta sofferta della mobilità che potrebbe coinvolgere fino ad un numero massimo di 90 lavoratori, ma in cambio della stabilizzazione dei giovani lavoratori con contratto a termine: infatti “ci si rivolge – dicono a E.On. – a quei lavoratori che nell'arco del periodo di mobilità raggiungeranno i requisiti per la pensione”. In tutti i casi l'accordo di fine ottobre prevede incontri locali aventi l'obiettivo di ridurre le eccedenze e una cabina di regia per coordinare tutto il processo che interesserà i prossimi due anni: ricollocazione in altre unità produttive, riqualificazione professionale e formazione, utilizzo part-time, telelavoro, eventuali contratti di solidarietà, recupero e bilanciamento attività tra diverse sedi, ma anche l'eventuale ricorso – come all'Enel – all'art. 4 della legge 92.

Non solo ombre dunque, ma anche qualche luce. “Infatti – prosegue Berni – i lavoratori con contratto di apprendistato, inserimento, tempo determinato, saranno considerati parte della struttura organizzativa, formalizzandone la richiesta della loro trasformazione a tempo indeterminato”.

Non dissimile la situazione in Edison, società del gruppo francese “Electricitè de France”, dove a rischio chiusura ci sono 8 impianti, due dei quali (Termoli e Sulmona) entro quest'anno, con ripercussioni sul lavoro di 130 addetti e la loro messa in cassa integrazione straordinaria sia pure finalizzata alla ricollocazione.

Le medicine individuate, anche in questo caso frutto di una intesa siglata alla fine di ottobre con i sindacati, definiscono una cabina di regia per la reimpiegabilità e il rafforzamento degli istituti contrattuali sui trasferimenti. Con una novità. “Alla fine della cigs – conclude Berni – qualora il lavoratore non sia nelle condizioni di aderire alla proposta di ricollocazione, è previsto un anno di contratto a tempo determinato, interamente pagato da Edison, che si aggiunge alla mobilità, presso una società per il reimpiego presente nel territorio di appartenenza del sito proprio per favorire la formazione anche verso lavori diversi”.

Più nello specifico, anche l'intesa con Edison prevede l'impegno dell'azienda a sottoporre ai lavoratori in esubero una proposta di ricollocazione nell'ambito del gruppo, attivando, dove possibile, part-time e telelavoro; la possibilità di estendere l'ambito di ricollocazione all'intero gruppo EdF e alle sue controllate; l'applicazione dell'art. 42 (trasferimenti) del contratto elettrici, superiore alle previsioni contrattuali per incentivare la mobilità sul territorio; il collocamento in cigs fino al massimo dei due anni proprio per raccordare il momento di uscita a quello del ricollocamento; la collocazione in mobilità finalizzata al pensionamento. Insomma, buoni esempi di “best practice” nelle politiche attive del lavoro.