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Gli operai francesi passano dal sequestro dei manager al sequestro delle fabbriche. Sono tre i casi di “azione diretta” operaia susseguitisi in poco più di tre giorni. Che sia dovuto all’effetto emulazione, o che stiano formandosi nuovi “metodi” di lotta, il fatto è questo: in Francia la risposta alla crisi economica dei lavoratori è sempre meno attendista e sempre più interventista. Questa la strategia: bombole a gas nelle fabbriche in dismissione, richiesta di un’indennità in migliaia di euro per i dipendenti che perderanno il posto, minaccia di far saltare in aria tutto se si riceverà un no (dalle aziende o dai curatori fallimentari) e apertura di una trattativa quasi senza mediazioni, un braccio di ferro. Si tratta nella maggior parte dei casi di fabbriche che fanno parte dell’indotto di grandi gruppi industriali: aziende di componenti o subappaltatrici, dove scoppiano crisi meno evidenti ai media. Fallimenti che non riescono a far parlare di sé. Da qui la decisione presa dagli operai di alzare il livello, anche scenografico, del conflitto, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica oltre che delle controparti.
Dopo la New Fabris, dopo la Nortel, è toccato alla Jlg-France, un’azienda in fase di ristrutturazione, che a Faullet, nel sud-ovest della Francia, fabbrica veicoli speciali ed è proprietà del gruppo americano Oshkosk. I 163 dipendenti sono in sciopero da due settimane contro 53 licenziamenti decisi dall’azienda, ma è di oggi – come scrive Le Monde sul suo sito – la radicalizzazione della vertenza. Le bombole a gas sono state piazzate attorno ai montacarichi costruiti nella fabbrica: la minaccia è di farli saltare in aria se non arriveranno 30 mila euro di indennizzo per i colleghi licenziati. La richiesta iniziale era di 60 mila euro.
Aggiornamento del 17/7:
» Jlg-France, Operai ottengono indennità
“Abbiamo portato sul parcheggio quattro-cinque montacarichi, li abbiamo circondati con paletti di legno e bottiglie di gas collegate tra loro. Se non otterremo soddisfazione, accenderemo il fuoco', ha detto il rappresentante dei lavoratori in sciopero Christian Amadio.
Trentamila euro. Esattamente la stessa cifra chiesta dai 366 operai della New Fabris di Chatellerault alle case madri Psa Peugeot Citroën e Renault. Gli operai della New Fabris stanno occupando l'impianto, che lavorava al 90% per Renault e Psa, da quando è stato messo in liquidazione il 16 giugno scorso. Il 15 luglio gli operai hanno accettato una tregua, togliendo le bombole a gas dall’officina di componentistica fallita. Il 16 si è poi tenuto un incontro tra i rappresentanti sindacali e quelli della Renault, mentre fuori della sede del gruppo auto si teneva una manifestazione. Ma l’incontro non è andato bene. Renault infatti non supera l’offerta di 3.300 euro di indennità per ciascun lavoratore licenziato, mentre gli operai ne chiedono 15 mila a entrambi i gruppi auto, per una somma che fa appunto 30 mila. L’ultimatum dato dai lavoratori di Chatellerault scade il 31 luglio. Il 20 si terrà un incontro al ministero del Lavoro nel quale i sindacati sperano di ottenere l’appoggio del governo. Fondata nel 1947 la New Fabris era inizialmente una piccola officina meccanica specializzata in componenti per macchine da cucire. E’ poi cresciuta fino ad arrivare a 800 dipendenti nei primi anni 90. Il valore dei pezzi prodotti e degli stock negli impianti della fabbrica è stimato a 1,2 milioni di euro da Renault, ma per i lavoratori il valore è di oltre due milioni di euro, cifra che legittima una richiesta d’indennità maggiore.
“Quando grandi fabbriche licenziano, o si limitano a licenziamenti parziali, le telecamere sono subito lì”, spiega a Libération uno degli operai che occupano la New Fabris. “Ma noi dobbiamo minacciare un’esplosione per rompere lo schermo dei media”.
Analoga la situazione dei dipendenti di Nortel France, azienda della regione parigina in fallimento, che sono in sciopero da dieci giorni. Anche qui: bombole a gas sistemate nei locali dell’azienda. La filiale francese del produttore di componenti per la comunicazione canadese Nortel, ha avviato la procedura di fallimento il 28 maggio. La richiesta dei lavoratori è più alta: 100 mila euro per ciascun licenziato. L’ultimatum scade il 20 luglio. “Se gli amministratori non si assumono le loro responsabilità il sito rischia di saltare”, ha detto un appresentante dei lavoratori: “Se per noi finisce il 20, finirà per tutti”.
“Il sequestro è una pratica ricorrente, che risale ai tempi del Fronte popolare e che è stato ripreso in particolar modo negli anni che hanno seguito il ’68”, ricorda il politologo e specialista del movimento sindacale René Mouriaux in un’intervista a Rassegna. Il contesto però è cambiato. “Si tratta di conflitti difensivi in una congiuntura economica molto degradata in settori di attività e in bacini di lavoro a loro volta degradati”, dice il sociologo Jean Michel Denis. Azioni disperate che hanno il loro prototipo nella protesta che scoppiò alla Cellatex (nelle Ardenne), dove nel 2000 i lavoratori minacciarono di far saltare la fabbrica per ottenere un aumento delle indennità di licenziamento. La storia si ripete.
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