In periodi di crisi, la sicurezza e la salute dei lavoratori passano spesso in secondo piano rispetto alla difesa del posto di lavoro e del reddito. Questo non significa che i problemi non ci siano, anzi. Solo che vengono vissuti come una questione individuale, ossia della persona che incorre in un infortunio o in una patologia. Troppo spesso nelle aziende si bada più a un rispetto formale e cartaceo della norma piuttosto che a un reale e fattivo intervento preventivo, che sarebbe invece nello spirito e nella lettera della legge.

È necessario quindi, soprattutto in questa fase, riflettere un poco di più sul ruolo del medico competente: una figura spesso sottovalutata nell’ambito della prevenzione, la cui attività viene solitamente intesa come limitata all’effettuazione delle visite mediche e alla redazione dei giudizi di idoneità lavorativa. Il medico competente non va considerato un semplice collaboratore del datore di lavoro e del Responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rssp), ma ha un compito importante nella gestione della sicurezza e soprattutto nella prevenzione. È infatti chiamato a svolgere un ruolo autonomo e distinto dal datore di lavoro, con obblighi sanzionati penalmente, dei quali è chiamato a rispondere direttamente sia all’azienda sia alla collettività. Deve pertanto agire in modo imparziale, non tenendo conto dell’interesse del datore di lavoro, anche qualora sia dipendente dello stesso.

Per questo siamo sempre stati particolarmente attenti al fatto che il medico competente (art, 41, comma 6 bis) “esprima il proprio giudizio per iscritto
, dando copia del giudizio al lavoratore e al datore di lavoro”. Proprio in virtù di questo non possiamo accettare ritardi nella consegna dei giudizi di idoneità lavorativa al lavoratore che non siano stati determinati dalla necessità di ulteriori analisi per valutarne l’idoneità: questi ritardi, insomma, ci inducono a pensare che nella redazione dei giudizi stessi a volte non sia ininfluente il parere dei datori di lavoro o dei dirigenti.

Torniamo a cosa deve (ma occorre dire “dovrebbe”, vista la realtà) fare il medico competente. Il decreto legislativo 81/2008 intende la salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” (art 2, comma 1, lettera o). Ma possono essere solo il datore di lavoro e il Rspp, senza quindi l’apporto del medico competente, a valutare questo “stato”? Tanto più che sempre il decreto 81 (all’art. 28) prevede la valutazione dei rischi anche per “i lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress-lavoro correlato”: anche in questo caso, la valutazione può avvenire senza la collaborazione attiva del medico competente.

È evidente, quindi, che questa figura vada ridisegnata. Il medico non deve limitarsi a eseguire gli accertamenti obbligatori e a prescrivere eventuali esami specialistici. Dovrebbe, bensì, mantenere contatti continui con le altre figure coinvolte, ricercare il consenso e la collaborazione degli Rls, conoscere il processo produttivo, partecipare attivamente alla valutazione dei rischi, denunciando le eventuali malattie professionali e intervenendo al fine di trovare soluzioni, di concerto con Rspp e Rls, per rimuoverne le cause.

Un’ultima questione. Nella grande distribuzione organizzata le patologie sono in crescita, come dimostrano ormai decine di studi. Riporto solo l’ultima in ordine di tempo, realizzata nel 2014 dalla Usl 2 di Lucca su cassieri e addetti al rifornimento del reparto drogheria: il 62,5 per cento dei lavoratori esaminati è portatore di almeno una patologia diagnosticata degli arti superiori. Eppure, in tutte le aziende oggetto delle indagini sono presenti uno o più medici competenti, che però non hanno mai, o quasi mai, segnalato la presenza di patologie legate all’attività lavorativa. È fin troppo ovvio, quindi, sostenere che qualcosa nella sorveglianza sanitaria non funzioni. Un “sospetto”, infine, confermato anche dai dati 2014 della Asl di Milano sui ricorsi avversi presentati dai lavoratori contro i giudizi di inidoneità emessi dai medici competenti “aziendali”: meno di uno su quattro (precisamente il 23 per cento) di questi giudizi è stato confermato dagli organi di vigilanza.

* responsabile Salute e sicurezza Filcams Cgil Lombardia