“Accordo? Non è un accordo. Non mi pare che ci sia un accordo”. Intervistato da Repubblica, Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, è molto duro verso il governo e il presidente del Consiglio. “Quando Monti in conferenza stampa ha parlato di accordo di tutti, tranne che della Cgil, mi è parso di risentire Sacconi. Inoltre anche Angeletti, il segretario della UiI, sostiene siano necessarie modifiche. E neppure Bonanni, cioè la Cisl, era entusiasta della parte relativa all' articolo 18”. E ancora: “Il governo ha scelto di registrare le posizione delle parti sociali, che sono differenziate. Noi, Pd, insistiamo affinché nel tempo che rimane a disposizione prima di inviare i testi in Parlamento si faccia un ulteriore sforzo perché si cambi”. E comunque una volta che il testo arriverà alle camere, “il Pd valuterà autonomamente il merito. E proporremo i nostri emendamenti. Ci sono punti positivi che vanno sottolineati, e ci sono dei buchi enormi".

Gli stessi concetti vengono ribaditi in un’intervista a La Stampa, dove il responsabile economico del Pd parla di qualche “passo avanti significativo”, ma soprattutto di “buchi e passi indietro” in un testo imperniato su una linea “che continua a considerare l'arretramento delle condizioni di lavoro come un fattore di sviluppo: cosa che ci porterà in condizioni sempre più difficili”. “L'obiettivo della riforma – spiega – era introdurre ammortizzatori sociali universali, e invece per contratti a progetto e altre forme contrattuali non cambia nulla. E poi la genericità dei punti sulle politiche attive per lavoro”. Sull’articolo 18 “è stato fatto un passo indietro molto ampio. Tutti i datori di lavoro che vorranno liberarsi di lavoratore diranno che è per ragioni economiche, e sarà complicatissimo per lavoratore dimostrare che si tratta invece di un discriminatorio. E trovo che sia uno specchietto per le allodole estenderlo per ragioni discriminatorie alle piccole imprese”.