Titolo originale:
I tanti significati di quella diversità
Rassegna Sindacale, 24, 15 giugno 1984

Un uomo in giubbotto di tela blu dice: «Berlinguer si è ammazzato per noi, non lo dimenticheremo». È una frase colta in una delle tante cronache apparse in questi giorni sui quotidiani. Il modo drammatico in cui è morto il leader del Pci ha colpito il sentimento di amici e avversari suscitando, insieme al dolore, un profondo rispetto. Ma chi era questo uomo schivo, quasi timido, che ispirava tenerezza e protezione, ma che politicamente ha mostrato tenacia, la tempra di un combattente. Luciano Lama conosce Berlinguer dal 1945. Con lui, il giorno dopo la tragica notizia, abbiamo cercato di capire l'uomo, il dirigente politico, il capo del Partito comunista.

RS: Non aveva il carisma di Togliatti, né sapeva far vibrare le corde profonde come Di Vittorio. Eppure la sua morte ha colpito milioni di persone. Tu che conosci da sempre Enrico Berlinguer: che uomo era?

Lama: Credo che la caratteristica dominante della sua personalità fosse una concezione morale molto alta della vita, ivi compresa quella politica. Aveva spiccato il senso del dovere che riguarda anche il militante di partito, l'uomo pubblico. Sentiva che la funzione di un uomo pubblico carico di tante responsabilità politiche deve accoppiarsi al senso morale della vita privata e pubblica, che purtroppo oggi non è molto frequente. Tutto questo spiega il suo impegno nel tenere alta nel partito e in Italia la cosiddetta questione morale. Era, poi, un uomo che credeva molto nelle sue idee, si batteva con durezza, era in certi momenti testardo, cocciuto. Però non era uno che in nome della propria verità rifiutava a priori il confronto e lo scontro. Era un vero democratico.

RS: Qual era il suo rapporto con i compagni di lavoro?

Lama: Non era burocratico. Non vietava la discussione, non la rifiutava, né la impediva. Non ho mai sentito sollevare questioni in termini disciplinari da Berlinguer. Magari condanne politiche, anche dure, ma sempre sul terreno di un rapporto politico che non privilegiava il momento della gerarchia su quello degli argomenti. Per esempio, una cosa significativa: non è mai successo alle esequie di un segretario di partito che un dirigente sindacale, in questo caso Ottaviano Del Turco, abbia parlato a nome di tutti i sindacati. Eppure, forse, con nessun dirigente politico in Italia ci sono state tante polemiche come ce ne sono state con Berlinguer. Anche questo è il segno dei particolari rapporti, anche personali, tra Berlinguer e il movimento sindacale.

RS: Tutti ora riconoscono, come hai già fatto, lo stile morale di quest 'uomo che ha tentato di portare un rigore anche nella vita politica italiana. In vita, però, veniva accusato di moralismo, di rigorismo, di diversità. Insomma era vero prima o è vero adesso?

Lama: La diversità era e resta vera, se non altro per il rigore. Berlinguer era un uomo che sosteneva con forza l'idea dell'etica nella politica. Ci credeva davvero. Ci sono quelli che non vogliono proprio sentire parlare di etica, anzi stabiliscono due categorie diverse: uno è il campo della morale, l'altro il campo della politica. Quindi politica come carriera, come successo, come potere, forse anche come corruzione. Poi la morale. Bene: questa scissione lui proprio non l'accettava, era il rovescio esatto della concezione che aveva dell'integrità. Certo, capita spesso che chi ha questa concezione della vita politica viene definito integralista, moralista. Lo è veramente se pretende di fare agli altri la lezione che magari non applica alla propria persona,  Del resto il rispetto è sincero anche da parte dei ladri. Non è vero che i ladri disprezzano gli onesti, non è vero che i corrotti disprezzano gli integerrimi. Alla base di questo sentimento di solidarietà, di dolore sincero, c'è un sentimento profondo che riguarda un uomo che aveva una diversità: quella di essere pulito, quella di mettere gli interessi personali al di sotto di quello che lui considerava il bene del paese.

RS: Secondo te poneva anche il partito al di sotto del benessere del paese?

Lama: Secondo me sì. Secondo me aveva un'alta concezione del partito, ma al di sopra del destino del paese, per lui, non c'era nulla. Non ha esitato a rischiare l'impopolarità per condurre battaglie, con un'opinione pubblica e con i giornali che adesso lo esaltano e che allora gli erano ostili. Quando le battaglie le considerava giuste....

RS: Con la scomparsa di Berlinguer si apre, secondo alcuni, un pericoloso vuoto politico. Sei d'accordo con tale giudizio?

Lama: Credo sia vero. I personaggi come Berlinguer non sono a portata di mano. Spero che questo vuoto sia colmabile. ma ci vorrà uno sforzo notevole e ci vorrà tempo. Berlinguer era un punto di riferimento non solo per i comunisti o per gran parte dei lavoratori, ma anche per le forze politiche e per le istituzioni. C'erano delle questioni sulle quali non si poteva dubitare quale sarebbe stata la posizione che avrebbe preso.

RS: Ad esempio?
 
Lama: Se veniva a conoscenza del comportamento scorretto di un comunista non aveva dubbi che dovesse essere colpito. Non c'era nulla che avrebbe potuto accettare come lesione al principio della democrazia. Non c'erano per lui considerazioni di parte che potessero mettere in discussione la democrazia. Anche perché riteneva che occorresse far coincidere sempre più l'interesse del partito con quello del paese. Questa identificazione non poteva alla lunga danneggiare il partito. È un principio che ha difeso strenuamente contro coloro che non lo condividevano.

RS: Così si spiega anche il suo atteggiamento sul terrorismo.

Lama: La fermezza con cui Berlinguer ha preso posizione sulla questione del terrorismo, sostenendo sempre con ammirazione le iniziative del sindacato, è dovuta a questa concezione della democrazia, della lotta politica come lotta civile e democratica, non violenta. Non c'è mai stata alcuna incertezza sulle questioni su cui si poteva restare a mezza strada. Lui stava con lo Stato, che voleva cambiare con il consenso e con la lotta democratica.

RS: Un altro punto fermo della linea di Berlinguer è la politica internazionale. Sei d'accordo?

Lama: Sono state sollevate a Berlinguer delle critiche perché non avrebbe portato più avanti la polemica con i paesi socialisti. Diciamo come stanno le cose: Berlinguer ha fatto la polemica definitiva, quella sulla quale non c'è bisogno di aggiungere parola. La posizione di autonomia, di indipendenza del Pci è tale che non occorre sottolinearla ogni giorno, perché è stata stabilita una volta per tutte, in modo irreversibile. Per me Berlinguer è stato un politico di grande statura internazionale. Non solo per aver chiarito i rapporti con i paesi socialisti, ma anche per essersi impegnato sul terreno teorico e concreto di una grande politica internazionale, offrendo contributi originali sulla questione dei caratteri della guerra, sui rapporti col Terzo mondo, sulla collocazione dell'Europa rispetto alle due grandi potenze, sul pericolo delle politiche di grande potenza rispetto alla pace, e infine ai movimenti pacifisti. È anche per queste ragioni che il cordoglio per la sua morte è universale.

RS: Vorrei parlare, ora, della concezione che Berlinguer aveva del sindacato e del suo rapporto con il movimento.

Lama: Abbiamo avuto anche dei momenti di diversità di opinioni. Infatti Berlinguer pensava che il Pci, essendo un partito di lavoratori, non potesse non occuparsi dei problemi dei lavoratori nella loro completezza. Nello stesso tempo in cui sosteneva questa tesi, dando qualche volta un senso di fastidio per l'invadenza del partito nel campo del sindacato, non ha esitato a riconoscere nelle tesi del partito all'ultimo congresso il ruolo del sindacato come di una forza autonoma che agisce nella politica e che interviene su tutti i problemi della società con una definizione originale che prima non aveva. Taluno ha considerato questo perfino scorretto dal punto di vista dell'ideologia del partito.

RS: Al contempo voleva però che si riconoscesse uguale intervento del partito sulle cose sindacali.

Lama: Sì. Rivendicava al partito la facoltà di occuparsi di tutti i temi che riguardano i lavoratori, sia dal punto di vista sociale che politico. Come ho detto ci sono stati contrasti ma, devo dire la verità, non si è mai tentato di risolverli con decisioni di autorità.

RS: Come pensava di risolvere i problemi dell’autonomia sindacale?

Lama: Non considerava l'autonomia del sindacato come una specie di pretesa. La considerava come una condizione necessaria  non solo per il sindacato ma anche per la politica, per la democrazia politica. Berlinguer era convinto che anche la democrazia italiana si fonda certo sui partiti, sulle istituzioni, ma anche sugli aggregati sociali, a cominciare dal sindacato. Riteneva quindi che l'autonomia del sindacato fosse una qualità di cui il sindacato doveva essere fornito e che doveva essere riconosciuta; ma nel contempo, ripeto, cosi come credeva che il sindacato non dovesse occuparsi solo dei contratti, riteneva che il partito non dovesse occuparsi solo delle elezioni o del funzionamento del Parlamento. In definitiva su casi concreti c’è stata dialettica, una diversità che lui non considerava scandalosa, anche se non desiderabile, io stesso non ho mai considerato desiderabili le diversificazioni dal partito. Al contrario credo sia desiderabile sostenersi a vicenda e in molti casi è stato proprio così. Ma quando si manifestavano le differenze Berlinguer le affrontava sostenendo con forza le proprie posizioni, le proprie idee.

Siamo arrivati cosi alla fine della lunga intervista per cercare di capire il Berlinguer uomo e il Berlinguer politico. Ma forse è sbagliato cercare di capire questo leader scindendo il privato dal pubblico. Berlinguer con i suoi pregi e difetti, con i suoi errori e le sue intuizioni, era un uomo che aveva fatto fino in fondo la sua scelta di vita.