Lo scorso 31 marzo, trovandosi a passare per Parigi per una riunione dell’Ocse, tra un pranzo col ministro francese dell’economia Emmanuel Macron e una cena con quello delle finanze Michel Sapin, il Commissario europeo per l'euro e per il dialogo sociale Valdis Dombrovskis aveva dovuto fare i salti mortali per onorare la propria agenda. Colpa degli scioperi dei trasporti e delle altre proteste contro la cosiddetta riforma del lavoro El Khomri, un argomento che sta molto a cuore all’esecutivo di Bruxelles, mentre la Francia è oggetto di una procedura per disavanzo eccessivo.

La legge El Khomriè un'iniziativa importante, che risponde alle rigidità del mercato del lavoro e che rilancerà l'occupazione”, le parole soddisfatte di fronte ad alcuni giornalisti del Commissario europeo, lettone, noto per le sue posizioni liberali, che condivide la responsabilità per gli affari economici in ambito Ue con il socialista francese Pierre Moscovici. Nel Rapporto sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici trasmesso a fine febbraio al governo di Parigi, la Commissione aveva dedicato una decina di pagine alle rigidità del mercato del lavoro francese, che rappresentano secondo Bruxelles il principale problema dell'economia di quel paese. In tutto il rapporto, la parola “rigidità” compare 32 volte, e solo in cinque di queste non è direttamente associata alla parola lavoro.

Insomma, è chiaro che la legge El Khomri è una risposta alle richieste di Bruxelles. Secondo gli esperti dell’esecutivo europeo, la crisi dell’occupazione e la crescita debole dipendono dalle rigidità strutturali dell’economia francese e, più precisamente, dalle difficoltà di licenziare i lavoratori, dall’indicizzazione dei salari minimi, che induce un costo eccessivo dei salari, dagli oneri sociali a carico dei datori, dalla settimana lavorativa di 35 ore e, ovviamente, dalla contrattazione collettiva, e non certamente da altri fattori, come la mancanza di investimenti o l’evoluzione verso un’economia dei servizi svincolata dalla creazione di nuova occupazione.

Ma cosa prevede esattamente la legge El Khomri? Presentata per la prima volta in Consiglio dei ministri francese il 24 marzo scorso, e adottata in prima lettura dal Parlamento il 12 maggio successivo, nel suo insieme il progetto prevede – manco a dirlo – di rendere più flessibile il mercato del lavoro, attraverso modifiche nella gestione dell’orario e nelle regole che riguardano la contrattazione collettiva, i licenziamenti e la salute e sicurezza sul lavoro.

Orario di lavoro

Il diritto del lavoro francese stabilisce una durata massima dell’orario di lavoro di 10 ore al giorno e di 48 ore alla settimana, comprese le ore di straordinario (al netto delle ore di straordinario, la settimana lavorativa attuale è di 35 ore). La legge El Khomri prevede di portare il limite giornaliero a 12 ore, su base di un contratto collettivo e per motivi legati all’aumento dell’attività dell’impresa o per motivi organizzativi. Il limite settimanale verrebbe invece portato a 60 ore. Quest’ultimo aumento dovrà essere approvato dall’Ispettorato del lavoro e applicato solo in caso di circostanze eccezionali dell’organizzazione d’impresa.

Oltre a questo, le imprese con meno di 50 dipendenti potranno derogare dal limite orario settimanale adottando dei forfait giornalieri. In pratica, l’orario settimanale verrebbe calcolato come media nel corso dell’anno e il limite delle 35 ore legali sparirebbe del tutto. Un altro aspetto dell’orario di lavoro che verrebbe modificato dalla riforma è quello delle ore supplementari (straordinari). Attualmente, la remunerazione delle ore supplementari è maggiorata del 25% per le prime otto ore e del 50% per quelle successive. Un accordo aziendale può però ridurre tutte queste maggiorazioni ad appena il 10%, a condizione che questo non contrasti con un accordo settoriale. La legge El Khomri abrogherebbe quest’ultima condizione. In altre parole, le aziende potranno concludere accordi finalizzati a ridurre la remunerazione delle ore supplementari, anche qualora un accordo settoriale preveda condizioni più favorevoli per i lavoratori.

Accordi offensivi

Il diritto del lavoro francese riconosce alle imprese in difficoltà la facoltà di derogare ad alcune norme sui salari e sull’orario di lavoro, stipulando degli accordi collettivi – detti anche accordi difensivi – finalizzati al mantenimento dell’occupazione. Con accordi detti invece offensivi, la legge El Khomri concederebbe la medesima facoltà anche in momenti di sviluppo dell’impresa, come la conquista di nuovi mercati o l’ottenimento di nuovi contratti. L’impresa potrebbe insomma far lavorare di più i propri dipendenti per rispondere a nuovi bisogni del mercato. Questi accordi, finalizzati non al mantenimento, ma allo sviluppo dell’impresa e dell’occupazione, dovrebbero durare al massimo due anni. Durante questo periodo, un lavoratore che si rifiutasse di ottemperare al nuovo orario di lavoro potrebbe essere licenziato dal proprio datore.

Rappresentanza sindacale

Il progetto di legge prevede anche di modificare le regole di validità dei contratti aziendali. Questi diventerebbero d’ora in poi maggioritari. In altre parole, saranno validi soltanto se firmati da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% dei lavoratori (in Francia il tasso medio di adesione ai sindacati è attualmente inferiore al 7%). Il testo prevede anche la possibilità di indire referendum aziendali se la richiesta viene da un sindacato che rappresenti almeno il 30% dei lavoratori. Se l’accordo è approvato dalla maggioranza dei lavoratori non può essere contestato dai sindacati, neanche se maggioritari.

Licenziamenti

Oggi quando un’impresa può addurre per un licenziamento motivi economici, anziché personali, il lavoratore ha meno possibilità di opporsi. Se questa riforma del lavoro entrerà in vigore, un’impresa potrà licenziare adducendo come ragione una diminuzione degli ordini o del fatturato in un arco di tempo che varia in funzione della dimensione dell’impresa. Quattro trimestri di riduzione dell’attività economica saranno sufficienti a giustificare un licenziamento da parte di un’impresa con oltre 300 dipendenti, mentre per le imprese con meno di 11 dipendenti sarà sufficiente un solo trimestre di calo dell’attività. Sarà quindi sufficiente soddisfare questi requisiti per licenziare dei dipendenti. In questo modo, sarà anche più difficile contestare le ragioni economiche davanti a un tribunale, anche per un lavoratore che si considera ingiustamente licenziato per ragioni personali.

Un altro aspetto soggetto a riforma è quello delle indennità di licenziamento stabilite dai cosiddetti Conseil de prud’homme, una giurisdizione paritaria speciale all’interno della quale in Francia vengono conciliati in prima istanza i contenziosi relativi al diritto del lavoro. Le prime esperienze di Conseil de prud’homme risalgono al Medioevo, e poi ancora all’epoca napoleonica, fino a quando – nel 1907 – una legge dello Stato li ha riconosciuti come la sola giurisdizione sociale competente in materia di lavoro.

Attualmente, ogni lavoratore ingiustamente licenziato può fare ricorso al Conseil de prud’homme e ottenere così un’indennità, il cui importo può essere liberamente stabilito dai giudici, che lo determinano caso per caso. La legge El Khomri impone invece dei limiti massimi alle indennità di licenziamento stabilite da un Conseil de prud’homme, in funzione soprattutto degli anni d’anzianità. Per fare un esempio, un lavoratore con un’anzianità compresa tra due e cinque anni potrà pretendere al massimo un’indennità pari a sei mesi di salario.

Visite mediche

Con questa riforma del lavoro verrebbero anche abolite le visite mediche al momento dell’assunzione, obbligatorie attualmente per tutti i nuovi assunti al fine di inquadrare i rischi potenziali cui il lavoratore potrebbe essere esposto. La legge El Khomri prevede di restringere quest’obbligo ai soli lavoratori esposti a rischi particolari, lasciando per tutti gli altri soltanto l’obbligo di una visita d’informazione e di prevenzione che può essere effettuata da un professionista della salute (per esempio, un infermiere).

Iter della legge

Presentata – come abbiamo accennato – per la prima volta in Consiglio dei ministri il 24 marzo scorso, la legge è stata in seguito esaminata dalla commissione Affari sociali e poi adottata in prima lettura dall'Assemblée nationale il 12 maggio, grazie al ricorso alla procedura d’eccezione prevista dall’articolo 49, paragrafo 3, della Costituzione francese, voluta dal primo ministro Manuel Valls. Di questo passo, entro giugno il progetto dovrebbe diventare legge. La “mozione di censura” presentata dalla destra il 12 maggio stesso ha raccolto infatti soltanto 246 dei 288 voti necessari, ed è stata dunque respinta.

Sindacati in piazza contro la legge

L’adozione, in questi termini e con questi contenuti, della legge El Khomri ha avuto come effetto di ricompattare il fronte degli oppositori e di suscitare una reazione unitaria da parte dei sindacati e delle organizzazioni studentesche. Cgt (Confédération générale du travail), Fo (Force ouvrière), Fsu (Fédération syndicale unitaire), Solidaires, Unef (Union nationale des étudiants de France), Unl (Union nationale lycéenne) e Fidl (Fédération indépendante et démocratique lycéenne) hanno promosso, tra il 17 e il 19 maggio, una serie di manifestazioni in tutta la Francia.

La riforma del mercato del lavoro per ridurre la disoccupazione?

Che sia in Francia, in Italia, in Irlanda, in Belgio, in Spagna o in Portogallo, la ricetta si ripete. Secondo un rapporto pubblicato in Francia dal Conseil d’orientation pour l’emploi (Coe), il numero di misure adottate all'interno dell'Ue per facilitare la tutela dell'occupazione è quadruplicato tra i periodi 2000-2007 e 2008-2013, da un centinaio a più di 400. Queste riforme hanno degli elementi in comune: mirano soprattutto a destrutturare il diritto del lavoro, mettono a tacere il dialogo sociale e sono state adottate sotto la pressione esterna della Commissione europea e della cosiddetta Troika (Ue, Fmi, Bce), spesso anche in cambio di aiuti finanziari, in particolare in Irlanda e in Portogallo e, in misura minore, in Spagna.

La maggior parte delle misure mirano allo smantellamento del lavoro a tempo indeterminato, come in Italia, Spagna e Portogallo. Riguardano le ragioni del licenziamento (Francia, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo), così come la procedura che al licenziamento stesso fa da quadro (in Spagna, tre trimestri consecutivi di calo delle vendite sono sufficienti a giustificare un licenziamento, e la stessa ricetta sta per essere applicata in Francia) e la stessa indennità di licenziamento (Portogallo, Spagna, Paesi Bassi, Francia).

Non solo. Tra gli obiettivi di molti dei governi europei c’è anche la messa in discussione dei regimi settimanali e giornalieri dell’orario di lavoro (in Belgio il governo vuole instaurare la settimana di 45 ore e la giornata di 9, liberalizzare le regole del lavoro serale, notturno e durante il fine settimana, e introdurre un sistema di calcolo dell’orario di lavoro su base annuale a discrezione dell’impresa). Insomma, quello che sta succedendo in Francia con la legge El Khomri o in Italia con il Jobs Act, non è che un aspetto di una strategia, anzi di un’ideologia, ben più vasta, che rischia di oscurare l’Europa dei diritti del lavoro.