Lunedì 19 novembre alle 18 alla Feltrinelli Libri e musica, Galleria Colonna, presentazione del libro di Ritanna Armeni: "Lo squalo e il dinosauro", viaggio negli stabilimenti della Fiat di Marchionne, dominati dalla minaccia della chiusura. L’autrice ne parla con Lucia Annunziata, Fausto Bertinotti e Valeria Fedeli.
 
La Fiat è stata in questi anni al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Lo è stato soprattutto  il suo amministratore delegato Sergio Marchionne con il suo stile (duro e diretto), con la sua battaglia senza esclusione di colpi nei confronti del più grande sindacato operaio (la Fiom), con condizioni poste o imposte ai lavoratori in nome del bene e della sopravvivenza dell’azienda nel mercato mondiale. Ma nessuno si è interessato a tutti coloro subiscono direttamente le conseguenze delle sue decisioni. Com’è realmente la vita in fabbrica nell’era Marchionne? Armeni ce lo racconta con un reportage – da Mirafiori a Melfi – su quello che finora è stato nascosto: la condizione operaia negli stabilimenti Fiat dominati dalla minaccia della chiusura.
 
"Occorre essere vigili, protestare per far ritirare decisioni che sembrano venir prese in automatico". Chi parla è Carla, operaia di Termoli, che racconta quel che è successo circa un anno e mezzo fa nel mezzo della battaglia di Pomigliano. "Alle donne che avevano il permesso di allattamento per due ore e che quindi stavano in fabbrica sei ore era impedito l’accesso alla mensa. Quelle sei ore dovevano lavorare di fila e poi andare a casa". I problemi erano due. Il primo: l’orario di lavoro di fatto veniva prolungato di mezzora (per gli operai Fiat la mezzora di mensa è compresa nelle otto ore giornaliere). Il secondo: la salute delle donne in allattamento costrette a stare sei ore alla catena senza mangiare. "C’è voluto l’intervento del ministero sollecitato dalle lavoratrici perché l’accesso alla mensa fosse concesso anche alle donne che allattavano", racconta Barbara Pettine, per anni responsabile delle metal meccaniche della Fiom. E in quel caso un diritto, sia pure a fatica, è stato salvaguardato, le donne ci sono riuscite.
 
Ma le più giovani, quelle che lavorano negli stabilimenti del Sud, non nascondono un’altra paura. Ne parlano a mezza voce, solo fra di loro, talvolta con qualche sindacalista. Lo sussurrano appena, perché non ci sono prove, non ci sono inchieste: oggi per molte di loro è più difficile diventare madri. Quelle che ci provano non ci riescono. Per molte, la menopausa arriva in anticipo. Ad altre, il ciclo scompare per mesi. Nasce il sospetto che siano i ritmi, lo stress, la paura di non farcela, a colpire la salute riproduttiva. Loro lo sentono, anche se non possono dirlo forte.