Per chi non avesse avuto occasione di incontrarlo nel proprio cammino, Luca Rastello è stato giornalista e scrittore, nato e morto a Torino tra il 1961 e il 2015. In questo arco di tempo, la storia di una vita dedicata al racconto di altre vite, dimenticate o rimosse, attraverso una passionale presenza sul campo che lo ha portato a frequentare i luoghi più remoti del pianeta nei momenti più complessi e decisivi, con particolare attenzione ai tragici eventi che hanno caratterizzato la guerra nei Balcani (imperdibile il suo libro “La guerra in casa”, pubblicato da Einaudi nel 1998), salvando decine e decine di persone nel corso della sua permanenza; ma anche avventurandosi nelle terre più sfortunate dell’America del Sud, nelle zone sperdute dell’Asia centrale, nei pericolosi meandri del Caucaso. Oltre questo, molto altro.

Per esempio “Piove all’insù” (Bollati Boringhieri, 2006), romanzo intenso, profondo, quasi onirico, che ci restituisce attraverso un linguaggio straniante al punto giusto gli umori e l’odore inconfondibile, fatto di sogni e di spari, dell’anno 1977 e del suo Movimento, quello con la maiuscola. Oppure il dramma dell’emigrazione con “La frontiera addosso” (Laterza, 2010), che sollecita il dibattito contemporaneo come farà “Binario morto” (2012) sulle varie contraddizioni del progetto Tav, sino a un altro romanzo, “I Buoni” (2014), nel quale non vengono fatti sconti ai guasti provocati da alcune malsane gestioni nella vasta area del terzo settore. A questi due ultimi volumi, editi da Chiarelettere, si unisce ora nel catalogo dello stesso editore la pubblicazione postuma dal titolo “Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime” (pp. 304, € 16,90), curata e introdotta da Monica Bardi, vicino a lui sino all’ultimo respiro.

Si tratta di un libro anche stavolta scomodo, spigoloso, ostico se non a tratti ostile, composto da un lungo frammento di romanzo in sedici capitoli, introdotti da un testo di apertura (“Del morire”) subito incisivo per stile e contenuti, e seguiti dai pensieri comparsi nel blog del “Malato Riottoso”, per poi continuare con riflessioni di vario genere, spaziando dalle critica a certe cure alternative alla tragedia greca (Antigone), dall’analisi degli scritti di George Steiner a una lettura del “Tristram Shandy” di Laurence Sterne. A chiudere, una “Lettera alle pulci piccole in forma di testamento”, rivolta alle proprie figlie e che in un passaggio, recuperato già nell’incipit del libro, recita così: Spero di avervi infilato nel cuore almeno il seme della curiosità. Non è mai finita. Mai. Non pensate mai di essere arrivate alla forma definitiva: c’è sempre almeno ancora una svolta imprevista, sempre. Se c’è un augurio che posso farvi, allora, è di non cadere mai nella trappola della rassegnazione e dell’accettazione: quasi sempre quella che si presenta come 'la vita com’è', secondo un’espressione cara ai realisti (gente che in segreto ama la schiavitù), è una truffa. Si può uscire, scartare, fare ancora un giro, poi sorprendersi di come era facile e possibile quello che sembrava impedito dalla logica ferrea di un mondo che ci mettiamo addosso come una prigione ed è invece solo fantasia che si spaccia per realtà”.

Parole, queste, scritte da Luca Rastello pochi giorni prima di morire, dopo una malattia durata dieci anni, contro la quale ha combattuto con la stessa tenacia con cui, troppo spesso in solitudine, ha voluto raccontarci gli ultimi di questo mondo. Torna alla mente un recente commento dello scrittore Christian Raimo, quando ricorda la sorte beffarda di questa generazione, la nostra generazione, costretta a fare quotidianamente i conti con la contraddizione di esser sopravvissuta ai suoi due migliori rappresentanti: Alessandro Leogrande e, per l’appunto, Luca Rastello. L’impegno, dunque, è di non lasciar dissolvere la loro preziosa, rigogliosa, eredità. Non sarà facile.