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Il decreto immigrazione e sicurezza “si inserisce in un solco già tracciato, restringendo ancora di più le garanzie e i diritti riconosciuti ai migranti e ai richiedenti protezione internazionale”. Questo il giudizio della Cgil sul testo del governo, approvato lunedì scorso dal Consiglio dei ministri. Il sindacato di corso d'Italia fa una lunga analisi del provvedimento, specificando che si tratta di una “valutazione di massima”, perché lo schema del dl non è disponibile e il testo può cambiare nella fase di conversione in legge.
Nel primo giudizio, elaborato dal segretario confederale Giuseppe Massafra, la confederazione sottolinea una serie di criticità. Il centro del decreto è l’eliminazione per legge del permesso di soggiorno per motivi umanitari. A fronte di questa abrogazione, sulla base di una presunta razionalizzazione, verrebbero introdotti sei motivi per il rilascio del permesso di soggiorno straordinario: grave sfruttamento lavorativo, motivi di salute, violenza domestica, calamità naturale nel Paese di origine, cure mediche e atti di particolare valore civile. Le sei ipotesi erano già previste per legge, spiega il sindacato, ma il testo “limita ulteriormente le prerogative”: per esempio, i permessi di soggiorno motivati da calamità naturali erano rinnovabili e convertibili in permesso per lavoro, una possibilità non più prevista dal decreto.
“Va da sé – prosegue – che l’abrogazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari tout court lascerà, o riporterà nella irregolarità, moltissimi stranieri che fino ad oggi erano in possesso del titolo di soggiorno e impedirà alla quasi totalità dei migranti di ottenere effettiva protezione”. In questa tendenza “non può che emergere l'inazione che caratterizza da anni il governo sulla programmazione dei flussi d'ingresso”. Dal 2011 non vengono previste quote per il lavoro subordinato non stagionale, le quote riguardano solo le conversioni di permessi in soggiorno e dei ricongiungimenti familiari. “Questa totale assenza di programmazione – riflette Massafra – può aver determinato una pressione verso la richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, utilizzata strumentalmente dal governo per giustificare un intervento di carattere restrittivo con l'abolizione di tale tipologia”. Spesso non è facile, infatti, produrre per i migranti documenti identificativi o eventuali prove di una persecuzione.
Le persone che fuggono dai loro Paesi “saranno oggi rinchiuse nei centri per i rimpatri fino a 180 giorni, e ciò senza nessun giudizio pregresso di pericolosità sociale, ma solo per procedere alla loro identificazione, evidentemente collaborando proprio con le forze di polizia di quegli Stati dai quali chi fugge cerca protezione”. Per sei mesi potranno essere trattenuti nei centri per i rimpatri gli stranieri in attesa di esecuzione dell’espulsione, contro l'attuale termine di 90 giorni. Inoltre è prevista la possibilità di trattenimento alternativo in “non meglio definiti luoghi idonei”, che rischiano di essere soprattutto camere di sicurezza di questure e commissariati.
Lo schema di decreto amplia i reati che prevedono l’automatica revoca della protezione internazionale, con conseguente immediato ingresso nella zona grigia dell’irregolarità, prodromo dell'esecuzione dell’espulsione. Il titolare di permesso di soggiorno per asilo politico, quindi con una certificata condizione di concreto, attuale e reale rischio per la propria vita in caso di rientro nel Paese di origine, sarà destinato al rimpatrio.
“Non si vuole nascondere che il novero dei reati prevede ipotesi assai gravi – continua Massafra –, ma occorre sempre porsi nell'ottica dei riflessi che si producono con la cancellazione della protezione internazionale”. Nel concreto, il pericolo è che “senza nessun accertamento di polizia, in palese violazione di qualsiasi regola giuridica degna di un Paese civile, anche la più strampalata delle false denunce, per fatti assolutamente privi di pericolosità sociale, comporterà la sospensione della protezione e l’allontanamento dal territorio nazionale di persone che hanno visto certificata la loro persecuzione in patria”.
Ancora più difficile sarà presentare la domanda di asilo con possibilità di successo. “In estrema sintesi, ogni domanda che non verrà presentata nelle giuste forme e comunque immediatamente dopo l’ingresso in Italia verrà considerata come strumentale, con forti limitazioni alla libertà personale in attesa della definizione del procedimento e sostanziale impossibilità di vedere accolta l’istanza”.
Anche la presentazione di una richiesta completa non garantisce nulla: “Il sistema Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo, ndr) verrà sostanzialmente superato e rivolto solo ai titolari di protezione e ai minori stranieri non accompagnati e privato di consistenti risorse, e i pochi fondi che verranno mantenuti per l’accoglienza saranno indirizzati esclusivamente ai Centri di accoglienza straordinaria”. Un percorso di tutela e integrazione “sarà concesso solo una volta ottenuto il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale, quindi dopo molti mesi dall’ingresso in Italia. Per le risorse così accantonate se ne ipotizza l’utilizzo per favorire l’allontanamento degli stranieri dal territorio”. Al richiedente asilo sarà impedita l’iscrizione all’anagrafe, con il rischio di restrizione all’accesso di molti servizi erogati dagli enti locali.
Il testo del provvedimento interviene anche sull’istituto della cittadinanza. “L’aggravamento burocratico delle procedure e l’allungamento dei termini per la definizione del procedimento faranno sì che, in media, uno straniero richiedente la cittadinanza, con un lavoro e una residenza stabile e l’assenza di ogni pregiudizio, vedrà riconosciuto il suo diritto ben dopo i 15 anni dal suo ingresso in Italia”.
Sono previste migliaia di euro per compiere l'intera trafila: a causa delle spese dei procedimenti giudiziari in materia di immigrazione, dunque, si mette in discussione il principio di uguaglianza. “Occorre ora aspettare il testo definitivo con gli eventuali interventi del Quirinale, seguire l'iter parlamentare di conversione in legge”, chiarisce Massafra, ma il testo disponibile oggi “è profondamente contrario a qualsiasi norma di civiltà giuridica e al principio di uguaglianza sostanziale che deve reggere ogni ordinamento democratico”.
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Il decreto è una risposta sbagliata