C’è il blocco dei contratti. L’età pensionabile che sembra non arrivare mai. Le ferie saltate, i turni insostenibili perché il personale scarseggia. “Ma è normale lavorare 10 ore al giorno, e non stare tranquilla nemmeno nei giorni di riposo?", dice Angela, infermiera marchigiana, che da 30 anni si prende cura dei pazienti "come fossero di famiglia. Siamo una comunità. Aiutare gli altri non è solo un lavoro, è un dovere".

Dignità e rispetto del servizio pubblico: anche questo chiedono i dipendenti della pubblica amministrazione che oggi hanno manifestato a Roma. "Non è solo questione di sblocco dei salari, siamo in piazza per difendere i servizi ai cittadini – dice Giuseppe Ciglione, vigile del fuoco da 18 anni in una terra bella e difficile come la Calabria. Negli anni il lavoro è peggiorato a causa dei tagli: oggi facciamo meno formazione e meno prevenzione, e così aumentano i rischi di allagamenti, incendi, incidenti sui posti di lavoro. Mancano anche le nuove assunzioni: Reggio Calabria conta 180.000 abitanti e noi siamo in 10. C'è una media, triste, di 2/3 auto incendiate ogni notte, perché qui ci scontriamo con la criminalità organizzata. Senza risorse e senza personale è difficile garantire la sicurezza e il soccorso pubblico”.

I lavoratori pubblici chiedono più risorse per adempiere al proprio compito, che è sempre, prima di tutto, un compito di cura: dei cittadini e del territorio. Marco, fiorentino di 47 anni, ironizza: “Sono lo spazzino costretto a fare tante manovre per avvicinarmi ai cassonetti! Ma l'immondizia la porto via, faccio il mio lavoro. Certo, se avessi gli incentivi economici che ci spettano, sarebbe meglio”.

“L’ambito sanitario è usurante, e a una certa età non è più così facile sollevare i pazienti dal letto – afferma Antonio Pedrini, 59 anni, dipendente dell'ospedale Civile di Brescia -. E poi i periodi di malattia si allungano e con la carenza cronica di personale è difficile mandare avanti il lavoro quotidiano. L’età media nell’ospedale dove lavoro è di 47 anni, siamo più di 6000 dipendenti: se ci fosse il turnover si creerebbero centinaia di posti di lavoro”.

Ma il lavoro, quando c'è, spesso è precario. Francesca Decataldo, di Brindisi, da 10 anni vive senza sapere se per lei inizierà l'anno scolastico. Ha speso soldi, energie e intelletto negli studi, nel percorso abilitante speciale (PAS), nelle esperienze in classe. Ma oggi si sente defraudata del suo titolo. “Invece di stabilizzare i precari storici, il governo ha pensato di aprire un nuovo concorso, che di fatto esclude noi docenti di seconda fascia. Così si aggiungono precari ai precari, e a risentirne sono anche gli studenti: soprattutto i più deboli, quelli che non hanno punti fermi in famiglia e purtroppo, cambiando insegnante anche da un mese all’altro, non trovano punti fermi nemmeno in classe. E’ questa la buona scuola?”.

Anna Pintus lavora in una scuola materna di Bologna. Precaria, anche lei, da una decina d'anni. “Ho 63 anni, vorrei andare in pensione da lavoratrice stabile. Vorrei anche che smettessero di darci dei lavativi. Noi lavoriamo, tanto, sostituendo il personale che non viene assunto. E senza fondi come si fa? Prima si organizzavano più corsi per i bambini, più servizi ai disabili. Il Comune non ha soldi e ha tagliato. Sapone e fazzoletti? Li portano i genitori”. “Che taglino gli sprechi dove davvero ci sono”, dice Francesca, anche lei educatrice in un asilo nido, come supplente. “Siamo d'accordo che serve una riforma della pubblica amministrazione, ma va fatta con criterio, investendo soldi pubblici. Altrimenti continueremo a farci portare la carta igienica dai genitori”.

Anche la polizia penitenziaria chiede più risorse: “Dove lavoro io – racconta Giuseppe Merola, 28 anni, in servizio al carcere minorile di Milano – manca la figura del soprintendente a garantire la sorveglianza generale. Sono i capiposto a farsene carico, oltre a svolgere la propria mansione. Il carico di lavoro aumenta ma noi dobbiamo continuare a garantire la sicurezza e la salute dei detenuti. Anche in situazioni, terribili, di sovraffollamento delle celle”.

La sicurezza è garantita anche dagli ispettori del lavoro. “Sicurezza per le imprese e per i lavoratori, perché contrastiamo il lavoro nero, lo sfruttamento, la corruzione – afferma Stefano, 45 anni, di Trento -. Noi siamo un baluardo della legalità, ma i tagli imposti dal governo non ci aiutano. Siamo disposti anche a fare sacrifici, ma in cambio vogliamo investimenti. Solo così possiamo davvero garantire efficienza”.

Tiziana, Giuliana e Francesca, romane, sono dipendenti della Scuola superiore del ministero dell'Interno, il loro compito è formare il personale dell'amministrazione. "Ma la nostra funzione è stata spostata alla Scuola nazionale - raccontano -. L'intento è di appaltare il servizio di formazione, che noi offriamo ad un costo basso. Termineremo i corsi previsti per il 2014, poi non sappiamo che fine faremo. Vogliamo delle risposte".

In piazza ci sono anche i precari della giustizia. "Ho cominciato come stagista negli uffici giudiziari - racconta Gabriella Grazioli, giovane napoletana-. Poi, come tanti altri, sono rientrata come tirocinante. Avrei dovuto occuparmi di supporto all'informatizzazione, in realtà faccio di tutto. La realtà è che ci usano come tappabuchi perché non c'è personale. Sono ormai al terzo contratto di tirocinio, pagata a ore, senza tutele. Chiediamo chiarezza, vogliamo sapere se la stabilizzazione ci sarà".

La pubblica amministrazione è fatta anche da chi lavora in Provincia e non sa quali compiti ricoprirà quando tutte le funzioni saranno trasferite ai nuovi enti di area vasta. Dice Monica Valore, dipendente della provincia di Como: “Tutto quello che sappiamo è che possono metterci in mobilità. Dove, non si sa. Da 20 anni lavoro come amministrativa nel settore servizi sociali, la qualità del servizio sta peggiorando a causa delle privatizzazioni che di fatto smantellano i servizi e impediscono una gestione chiara del lavoro. Molti di noi sono precari, soprattutto nei centri per l'impiego. La situazione è davvero grave”. Monica ci ricorda qualcosa di importante: “I servizi essenziali devono essere pubblici. Le privatizzazioni fanno lievitare i costi, e non tutti possono sostenerli. Il pubblico è e deve essere di tutti, e per tutti. Il pubblico siamo noi, cittadini e lavoratori".