La mobilitazione per il rinnovo dei contratti non va in ferie. Il 12 luglio, infatti, Cgil, Cisl e Uil hanno convocato, a Roma, un’assemblea nazionale dei delegati di tutti i settori senza contratto. A spiegare ragioni e modalità dell’iniziativa è il segretario confederale Franco Martini, stamattina ai microfoni di RadioArticolo1 (qui il podcast). “Vogliamo dare la parola ai delegati – ha detto il sindacalista –, e la presenza dei leader Camusso, Furlan e Barbagallo testimonia la scelta politica fatta per sostenere e riunificare le lotte. È aperto il confronto sul modello contrattuale, ma c’è un’evidente contraddizione: da un lato, si discute di come consolidare l'assetto della contrattazione; dall'altro, una quarantina di ccnl rischiano di morire nei fatti, perché ai tavoli è tutto fermo. Con quell'attivo, dimostriamo che il rinnovo dei contratti è una cosa che riguarda le singole categorie, ma è anche una battaglia generale del sindacato, con le confederazioni al fianco di otto milioni di lavoratori, in attesa dei rinnovi da anni. Lanciamo un messaggio a Confindustria, alle altre associazioni imprenditoriali e anche al governo - in quanto datore di lavoro di quattro milioni di addetti della pubblica amministrazione -, per dire che non rinunciamo a svolgere la nostra parte”.

“Le ragioni per cui i contratti non vengono rinnovati sono più d'una – ha osservato l’esponente Cgil –: indubbiamente, nella maggior parte dei settori pesano le difficoltà economiche. Da lungo tempo, la crisi ha messo in ginocchio le imprese, che, tra l'altro, sono impegnate anche in processi di riorganizzazione assai complessi. Però, non è l'unica motivazione, perché in altri settori i rinnovi sono stati portati a compimento. Sui ccnl, sia le associazioni delle imprese private che il governo si battono per modificare strutturalmente l'assetto della contrattazione; in pratica, si punta a una svalorizzazione del contratto nazionale, vanificando lo strumento per eccellenza di tutela collettiva, per spostarsi sempre più in direzione di una contrattazione definita aziendale, ma che in effetti è individuale, in quanto punta a un rapporto diretto con i lavoratori. Per noi, il contratto nazionale resta fondamentale, mentre il governo tiene fermi al palo dal 2009 i ccnl pubblici apparentemente per un problema di spesa. In realtà, non c’è solo il dato economico, perché quei contratti sono uno strumento per favorire la riorganizzazione della pa. Alla fine, dunque, si arreca un danno a chi lavora, e nel contempo anche ai cittadini”.

“Con il documento sulla contrattazione del gennaio scorso – ha ricordato il dirigente sindacale –, abbiamo tolto un alibi a chi sostiene che i contratti sono bloccati perché Cgil, Cisl e Uil si rifiutano di riformare il modello contrattuale. Abbiamo dimostrato che non solo il sindacato è stato capace di avanzare unitariamente una proposta, ma anche di formulare un documento innovativo, che sta cogliendo interessi assai diffusi nella stragrande maggioranza dei datori di  lavoro. A tavoli aperti, si è capito che la presunta sordità dei sindacati alla necessità di una riforma del modello contrattuale in realtà non esiste, perché chi, al momento, rifiuta di far partire il confronto è Confindustria, che pensa a un unico modello che depotenzia il contratto nazionale e spinge in modo marcato verso una contrattazione fondamentalmente aziendale. Tutte le altre associazioni d’impresa hanno apprezzato il nostro impianto, dove resta centrale il ccnl, con il secondo livello da sviluppare in base alle caratteristiche di settore. Confindustria non è d'accordo, ma pensiamo di poter arrivare a qualche intesa sulla falsariga del nostro modello prima della pausa estiva. Alcuni tavoli sono maturi per una conclusione del genere”.

“Attraverso la contrattazione – ha continuato Martini –, in realtà, è possibile innovare in parte anche il modello contrattuale, e attraverso la contrattazione inclusiva è possibile anticipare i contenuti della Carta, estendendo tutele e diritti a lavoratori fino ad oggi esclusi, come quelli  degli appalti all'interno di uno stesso sito produttivo. Noi abbiamo come obiettivo la difesa e la valorizzazione del ccnl, proprio in virtù del fatto che la contrattazione collettiva deve essere uno strumento in grado di dare risposte all'universalità del mondo del lavoro. L'ultima indagine Istat ci ha confermato che la quota d’imprese che esercita la contrattazione aziendale o territoriale nel nostro Paese si ferma al 20%. I quattro quinti del mondo del lavoro ha solo il ccnl come strumento di tutela, che deve parlare sia alle categorie forti - quelle che possono ricorrere al secondo livello -, ma anche e soprattutto alle figure deboli, come i precari degli appalti - un mondo del lavoro diventato ormai maggioranza -, che si trova a combattere una battaglia individuale, e che senza il contratto nazionale sarebbe alla mercé di un rapporto impari con il datore di lavoro: oggi è questa la partita più importante della contrattazione”.

“La quota di reddito destinata al consumo continua ad abbassarsi – ha concluso il segretario confederale –, e non esiste un’economia in grado di risollevarsi dalla situazione che ormai conosciamo da anni, se non rilancia la domanda interna. Per farlo, occorre che la quota del reddito destinata ai consumi possa aumentare, ma è impossibile, se allunghiamo gli orari di apertura degli esercizi commerciali fino a 24 ore, magari anche nei giorni festivi. Può aumentare solo se aumenta il reddito di chi lavora e di chi sta in pensione. Dunque, il rinnovo dei contratti è un ingranaggio fondamentale per la ripresa dell'economia, perché stipendi e salari accresciuti dai rinnovi dei ccnl non faranno altro che alimentare il ciclo economico, dando un contributo al rilancio della domanda interna, e quindi anche al rilancio del meccanismo produttivo nel suo insieme. Questa è una legge dell'economia così semplice da capire, ed è perciò autolesionistico il freno messo al rinnovo dei contratti pubblici e privati”.