Il titolo della Conferenza di programma, che si è tenuta a Milano il 30 e 31 gennaio, era: “Buon Lavoro. Governare l’innovazione, contrattare la digitalizzazione”. Perché questa scelta?

Buon lavoro può sembrare un’affermazione normale per un grande sindacato confederale. Non lo è più, invece, per il dibattito pubblico. Affoghiamo nei lavoretti, nella precarietà, nel lavoro povero che non consente una vita dignitosa. Il lavoro “cattivo” cresce e resta alta la disoccupazione. Dire oggi “buon lavoro” è un modo per immaginare come deve essere il futuro, in sintonia con decent work dell’organizzazione sindacale mondiale. Un obiettivo, dunque, un’indicazione per la futura contrattazione, per il nostro quotidiano lavoro, per un’organizzazione che deve innanzitutto determinare un lavoro migliore, condizioni di lavoro ottimali e retribuzioni in crescita. Il sottotitolo, governare l’innovazione e contrattare la digitalizzazione, definisce la strada con la quale puntare al “buon lavoro”. Governare l’innovazione significa avere uno sguardo a tutto tondo. L’innovazione serve, va incentivata, bisogna investire e bisogna indirizzarla. La tecnologia è un ineluttabile evolversi del mondo, è frutto di scelte, indirizzi, ma non può servire esclusivamente al profitto, deve rispondere ai bisogni; mettersi al servizio dell’eguaglianza, non sottrarre libertà, libero arbitrio. Deve quindi favorire partecipazione e democrazia. Per questo va governata. Per parte nostra, questo governare significa contrattazione, rivendicazione di investimenti, miglioramento delle condizioni di lavoro, delle prestazioni, della sicurezza del lavoro, della sua riconoscibilità e valorizzazione.

La Cgil ha lanciato la formula “contrattare l’algoritmo”, tema centrale nella Conferenza. Che cosa significa? Quali sono le parti dell’algoritmo su cui il sindacato dovrebbe concentrarsi?

Per comprendere questa affermazione, bisogna chiedersi cosa determina le condizioni di lavoro e dove devo incidere per poterle rendere positive. Ovvero dobbiamo chiederci se il nuovo capo del personale non sia l’algoritmo, cioè una formula matematica, non una persona con cui si possono costruire mediazioni sindacali. Intendo dire che il sindacato dovrà sempre più fare in modo che gli input che verranno calcolati dall’algoritmo per determinare orari, professionalità, presenze, carichi di lavoro, abbiano, tra le variabili da calcolare, parametri utili ai lavoratori, come fruizione dei diritti, rispetto delle norme contrattuali, formazione, tempi di riposo e così via.

Anche i temi delle piattaforme e quello del territorio sono risultati centrali. Tuttavia resta un ritardo nell’affrontare a questo livello l’innovazione. Come si può fare per colmarlo?

La Conferenza, avendo approfondito questo tema, è già stata una spinta a colmare i ritardi, soprattutto a superare l’idea che i processi di digitalizzazione siano esclusivamente o prevalentemente industriali, e iniziare a vederli e a coglierne le implicazioni, oltre che nella produzione manifatturiera, anche nei servizi e nel terziario. Le piattaforme di lavoro rimandano al divario da colmare tra l’apparenza di un futuro futuribile e la materialità dura dell’arretrato fordismo del lavoro che genera. Nello stesso tempo dobbiamo chiederci come riunificare le vite spezzate, per esempio di utente-lavoratore di Amazon, il quale oltre a vivere la condizione di occupato in quella azienda ne è anche consumatore. Colmare il ritardo significa anche domandarsi quale innovazione è necessaria per dare maggiori e migliori risposte sociali. Come la connessione può rispondere, per esempio, a un servizio sanitario davvero universale anche nelle aree interne del Paese. Saper gestire contraddizioni, diritti da riconquistare, investendo su tutto ciò che è compatibile con la qualità della vita delle persone nel territorio, è una bella sfida per la contrattazione territoriale. Una sfida per il nostro essere, davvero, sindacato confederale.

A che punto è la Cgil nell’elaborazione e nella proposta sui temi della contrattazione nella digitalizzazione? Quale spazio dovrà avere questo aspetto nel prossimo Congresso?

Da quando abbiamo dedicato energie e risorse, anche con la costituzione del gruppo di Progetto Lavoro 4.0, a questi temi, abbiamo compiuto un bel tratto di strada, conoscendo, elaborando, traducendo in proposte, provando sempre a connettere i molti aspetti. Andando ben oltre Industria 4.0 o Impresa 4.0, cogliendo i limiti di una visione, le carenze di provvedimenti che sono comunque parziali. Passi importanti che hanno ovviamente bisogno di essere effettivamente diffusi, conosciuti in tutta l’organizzazione; che devono diventare le domande e le proposte che informano tutta la nostra contrattazione. Da questo punto di vista non siamo ancora al massimo delle nostre possibilità. Lo dimostra la scarsa discussione su accordi o su sperimentazioni. Ancora prevale il rinvio al futuro, la fatica a rendersi conto che il cambiamento è già in essere e sarà continuo. Per questo sarà un tema centrale nella discussione congressuale, che è il momento più importante di rapporto con tutte le nostre iscritte e i nostri iscritti, che parla all’insieme del mondo del lavoro. Si potrebbe dire che il Congresso è l’occasione straordinaria per diventare il soggetto promotore di un cambiamento positivo nel nostro Paese.

Chiara Mancini è coordinatrice della piattaforma Idea Diffusa

Questo articolo è tratto dal numero di febbraio 2018 di Idea Diffusa, l'inserto di informazione sul lavoro 4.0 di Rassegna Sindacale