L’attuale governo dice fin dal giorno del suo insediamento di voler risolvere annosi problemi in tempi rapidi, con l’obiettivo di recuperare il tempo perso, e a tal fine ha abolito confronti, valutazioni e tutto ciò che ritiene inutile perdita di tempo. La digitalizzazione del paese e la realizzazione della rete Bul (Banda ultra larga) sono due degli obiettivi che il presidente del Consiglio ha indicato come fattori indispensabili per il rilancio della nostra economia, a tal punto da aver avocato a sé la materia, affidando al sottosegretario alla Presidenza il coordinamento del piano nazionale relativo.

Tale azione si incanala nella scelta degli ultimi due ministeri dei precedenti governi: recuperare il grande gap che l’Italia ha nei confronti dell’Europa in materia, ma con maggior determinazione e in tempi ristretti. Utilizzando, per raggiungere l’obiettivo, una delle sette iniziative faro della programmazione comunitaria per gli anni 2014-2020, che prevede risorse significative per portare la Bul solo ed esclusivamente nelle aree a fallimento di mercato. Purtroppo, va sottolineato che i fondi della programmazione comunitaria 2007-2013 sono stati utilizzati parzialmente, che siamo già al 2016 e passiamo di piano in piano da una strategia al suo opposto, avendo sprecato due anni della nuova programmazione.

Questo ci induce a lanciare un allarme: se il governo si incarta e non si va avanti, il danno per l’Italia sarà irreparabile. Per questo a Renzi vorremmo suggerire alcuni elementi di riflessione, in base ai quali l’esecutivo potrebbe impostare le sue strategie per non far perdere al nostro paese, assieme a un’importante occasione, anche la faccia. Ecco gli spunti di ragionamento che offriamo: i fondi comunitari sono disponibili per le aree a fallimento di mercato e non possono essere utilizzati per finanziare i voucher finalizzati a incentivare l’attivazione dei collegamenti per l’intero territorio nazionale; la stragrande maggioranza di queste aree è nelle regioni meridionali, le quali potranno utilizzare anche fondi regionali per sviluppare la rete. Non solo. Nessuna area dove ci sono investimenti dei privati potrà essere mai fruitrice di tali agevolazioni, motivo per il quale l’individuazione dei cluster varia al variare delle scelte degli operatori privati.

Le regioni meridionali, pur in presenza di ritardi notevoli nella spesa dei fondi della programmazione 2007-2013, avranno a fine 2016 una diffusione della rete a 30 mega  nel 70% del territorio. Ai bandi già effettuati da Infratel nelle aree a fallimento di mercato per la realizzazione della rete con il contributo dei fondi comunitari ha purtroppo partecipato solo ed esclusivamente Telecom Italia, che ha integrato con propri fondi (30%), secondo le previsioni dei bandi, gli investimenti comunitari.  Metroweb – società partecipata in maniera significativa da Cassa depositi e prestiti – ha portato la rete (spenta) nelle case dei milanesi ed è interessata a portarla in altre città, però a reddito elevato.

Aggiungiamo che l’operatore che attiverà la rete spenta non lo farà a vantaggio degli altri operatori e che nei piani industriali degli operatori del settore sono stati previsti per la realizzazione della rete soltanto due miliardi di euro (per tutte le aree), al di sotto delle previsioni governative. Riteniamo inoltre che tirare in ballo l’Enel per l’ultimo miglio, per poi cambiare idea mentre la stessa pensa di attrezzarsi con società specifiche, dimostri l’inaffidabilità dell’interlocuzione governativa, mentre l’alternarsi delle proposte ritarda la condivisione europea alla vaga strategia nazionale. Anche l’aver continuamente cambiato in due anni i vertici Agid, prima Caio, poi la Poggiani e ora Samaritani, non fa che dimostrare che si naviga a vista.

Apprendiamo, per ultimo, che Infratel (societa in house del Mise), da mero appaltatore dovrebbe diventare un soggetto che realizza, nelle aree a fallimento di mercato, la rete spenta da affittare agli operatori. Una scelta che non solo confonde e ritarda l’avvio della strategia, ma priva tale rete e tali territori dell’apporto di capitale del gestore privato (a oggi minimo 30% dell’investimento) che realizza la rete in cambio dell’uso. Uso non esclusivo, in quanto resta obbligato all’affitto agli altri operatori al canone fissato da Agcom. In poche parole, come in una specie di “gioco dell’oca”, si torna sempre al punto di partenza.

Giova ricordare che lo stesso Renzi, dopo l’approvazione da parte del Cipe del finanziamento sulla banda larga, aveva dichiarato che nell’autunno 2015 sarebbero partiti i bandi per coprire le aree a fallimento di mercato. Così facendo, di annuncio in annuncio, si rischia seriamente di fallire gli obiettivi fissati dall’Ue per il 2020 – Internet a 30 mega per il 100% della popolazione e almeno il 50% della popolazione abbonata a Internet 100 Mbps –.  Forse il presidente del Consiglio, alla ricerca continua di gufi, non si accorge del gufo che è dentro di lui. La materia è complessa, noi chiediamo – per non finire in un pantano – che non ci sia improvvisazione.

Ferruccio Donato e Mimma Argurio sono della Cgil Sicilia