"Non abbiamo bisogno di chiudere le frontiere. Al contrario, è proprio chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale". L'Inps, con queste parole del suo presidente Tito Boeri nel corso della relazione annuale alla Camera, interviene direttamente oggi (4 luglio) nel dibattito in corso sull'immigrazione, in Italia e in Europa.

Proprio nel giorno in cui l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) aggiorna i numeri sugli arrivi in Europa dal Mediterraneo nel 2017, segnalando lo sfondamento della soglia dei 100mila, e in cui il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker ha polemicamente preso atto che ad ascoltarlo sull'emergenza migrazioni al parlamento di Strasburgo sarebbe stata una seduta plenaria semideserta (una trentina su 751, ndr), arrivano dunque i numeri ufificiali dell'Istituto di previdenza sociale italiano.

L'assenza di immigrati regolari ,infatti, comporterebbe nel nostro paese "un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell'Inps. Insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo", ha sottolineato Boeri. “Una classe dirigente all'altezza – secondo il numero uno dell'Inps - deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno di un numero crescente di immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”.

Un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale, quello dei migranti, che è tra l'altro destinato a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole. Nella Parte terza del Rapporto Inps, infatti, si documenta come gli immigrati che arrivano da noi siano sempre più giovani: la quota degli under 25 che cominciano a contribuire all'Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015.

In termini assoluti, si tratta di 150.000 contribuenti in più ogni anno. Compensano il calo delle nascite nel nostro Paese, la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico, che è attrezzato per reggere ad un aumento della longevità, ma che sarebbe messo in seria difficoltà da ulteriori riduzioni delle coorti in ingresso nei registri dei contribuenti rispetto agli scenari demografici di lungo periodo.

L'Inps ha poi simulato l'evoluzione da qui al 2040 della spesa sociale e delle entrate contributive nel caso in cui da qui in poi i flussi in entrata di contribuenti extra-comunitari dovessero azzerarsi. Nel triennio precedente alla crisi circa 150.000 lavoratori immigrati cominciavano a versare contributi ogni anno mentre il 5% dello stock di lavoratori immigrati (circa 100.000 persone) uscivano dal mercato del lavoro italiano. Nella simulazione la popolazione dei contribuenti immigrati si riduce mediamente ogni anno di circa 80.000 persone nei prossimi 22 anni. In linea con i dati raccolti nella Parte terza sulle carriere lavorative degli immigrati, si ipotizza una retribuzione annua di ingresso di 2.700 euro, molto inferiore a quella dei lavoratori italiani, poi crescente fino a un massimo di 9.500 euro al termine della carriera.A conti fatti, nei prossimi 22 anni si avrebbero 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno meno di prestazioni sociali destinate a immigrati.

Bisogna infine tenere conto del fatto che molti immigrati lasciano il nostro paese prima di maturare i requisiti contributivi minimi e, anche quando ne avevano diritto, in passato spesso non hanno richiesto il pagamento della pensione, di fatto regalandoci i loro contributi. Per le stime prudenziali dell'Inps si tratta di un regalo che vale, ad oggi, circa un punto di Pil.