Nel Mezzogiorno si denunciano meno infortuni che al Nord. Potrebbe sembrare una buona notizia, ma non lo è: nel Sud ne accadono di incidenti, ma ancora troppe imprese premono affinché i lavoratori non li denuncino. A rivelare questa pratica indebita è lo studio “Salute e sicurezza nel lavoro agricolo nella provincia di Salerno”, realizzata dalla Fondazione Metes (istituto di ricerca e formazione della Flai Cgil, nato nel 2004) nell’ambito delle attività previste dal Piano formativo “Formare la competitività in agricoltura nella provincia di Salerno”, finanziato da For.Agri (fondo paritetico interprofessionale formato da sindacati e associazioni d’impresa).

“Gli infortuni si denunciano soltanto se sono eclatanti, altrimenti vengono fatti passare per incidenti casalinghi o per malattie comuni” spiega la presidente della Fondazione Metes Ivana Galli: “Bisogna far capire che denunciare non significa danneggiare l’impresa ma soltanto se stessi e gli altri lavoratori. Per questo abbiamo indirizzato la nostra formazione in salute e sicurezza nel far crescere questa consapevolezza”. A sostenere questa ‘resistenza culturale’ contribuisce anche lo stato del mercato del lavoro agricolo: “Dominano il lavoro fittizio, il lavoro nero, la precarietà data dalla forte stagionalità. Abbiamo una percentuale molto alta di addetti, soprattutto stranieri, che non riescono a raggiungere le 51 giornate di lavoro, quindi vengono esclusi dal beneficio di prestazioni come l’infortunio o la malattia”. I braccianti, inoltre, sono tra le categorie maggiormente colpite dalla riforma Fornero: “Se gli stagionali non raggiungono il trattamento minimo – conclude Galli – devono arrivare a 70 anni, anche se magari hanno già superato l’anzianità necessaria per il pensionamento. Occorre quindi impegnarsi per far dichiarare usurante il lavoro dei braccianti, a maggior ragione considerando l’esposizione alle intemperie, agli sbalzi termici, ai carichi di lavoro che spesso caratterizzano lo svolgersi delle mansioni”.

Veniamo alla ricerca, partendo dai numeri ufficiali. Nel salernitano l’agricoltura è la seconda attività economica in termini di valore: oltre 17 mila imprese e 37 mila addetti (di cui la quasi totalità a tempo determinato o lavoratori autonomi), per un valore aggiunto di 770 milioni di euro, pari a un terzo dell’intera regione. I dati Inail (relativi al 2013) mostrano una contrazione degli infortuni e un vero e proprio boom delle malattie professionali, con un aumento del 900 per cento rispetto al 2009. Il 76 per cento degli infortunati sono uomini, l’83 sono italiani (ma si registra il continuo incremento degli incidenti a stranieri). Riguardo le malattie professionali, invece, le più colpite sono le donne (66 per cento): le più diffuse sono l’ernia discale lombare e le patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.

Fin qui i dati ufficiali. Ma la Flai Cgil e la Fondazione Metes hanno fatto di più, iniziando ad approfondire questi numeri con interviste a lavoratori, esperti e opinion leader. “Le principali fonti di infortunio – spiega il ricercatore della Fondazione Metes Massimiliano D’Alessio – sono le operazioni di pieno campo, come la raccolta, e l’utilizzo del trattore. Riguardo le malattie professionali, le cause vanno cercate nella ripetitività delle operazioni e nelle posture disagevoli, anche qui come nella raccolta, oppure nella permanenza in serra nei mesi estivi, dove si arrivano a toccare i 60 gradi, con il conseguente sbalzo termico appena si esce”. Preoccupante è il contesto di sotto-denuncia degli incidenti, oppure della spinta a rinunciare di intraprendere l’iter per il riconoscimento delle malattie professionali, un fenomeno che “ci impone – conclude D’Alessio – di leggere in maniera più critica i dati, evidenziando la necessità di una maggiore efficacia di ispezioni e controlli”.

La ricerca ha anche una seconda parte, stavolta di carattere nazionale, realizzata attraverso la somministrazione di questionari a 570 lavoratori (di cui solo un quarto a tempo indeterminato). Si evidenzia, anzitutto, come sia ancora insufficiente (appena il 60 per cento) la quota di lavoratori che abbia partecipato ad almeno un corso di formazione. Interessante il dato sui dispositivi di protezione individuale: la quota di lavoratori cui viene messo a disposizione un set completo è bassa, a usarli di più sono i più giovani e i più istruiti. In merito agli infortuni, le prime cause sono cadute e tagli, mentre tra le malattie professionali predominano le muscolo-scheletriche e le patologie di nervi e tendini. I principali disagi lavorativi, infine, sono dati dal caldo eccessivo (33 per cento), dallo stare in piedi a lungo (24), dall’alzare pesi eccessivi (23) e dalle posture scomode (22).