“Qual è il senso di quest'azione del governo che ha voluto porre in primo piano la questione dell'articolo 18 nell’affrontare il problema infinitamente più complesso (e appena sfiorato dai provvedimenti in discussione) del mercato del lavoro nel post-fordismo e nella globalizzazione? Gli effetti che questa decisione sta producendo erano stati previsti, o addirittura voluti?”. Se lo chiede Massimo Cacciari nella sua rubrica sull’Espresso. E la risposta non è in chiave “europea” o di “obbligo verso i mercati” quanto di politica interna.

Gli effetti, infatti, “questi sono del tutto evidenti: ridividere il sindacato, che stava lanciando qualche timido segnale di ritrovata unità, drammatizzare le divisioni nel Pd, rafforzare l'intesa con l'ala "alfaniana" del Pdl. L'articolo 18, insomma, come catalizzatore politico: accelerare la resa dei conti nei due ex-poli, facendovi emergere l'ala decisa a proseguire sulla via aperta dal governo Monti; collocare " fuori gioco", all'opposizione, l'ala Fiom della Cgil (non ha detto proprio il neopresidente della Confindustria Squinzi che i chimici, invece, sono molto ragionevoli?)”.
“C’è da chiedersi – conclude Cacciari – se Monti stesso sia consapevole del significato della linea assunta dal suo governo. A meno che non lo concepisca come un ‘pronto intervento’ per poi riconsegnare tutto al malato, le decisioni che vengono oggi prese indicano almeno un'ipotesi di alleanze future. Si prefigura una coalizione tra ‘liberali’ Pdl e 'terzo polo’, montiana e benedetta dalle più importanti corporazioni? Ma questo costringerebbe tutto il Pd a mettere la sordina al dibattito interno e a serrare le righe a sinistra con i ‘compagni che sbagliano’”.