Il terribile day after che ha seguito la diffusione dei risultati finali del referendum sulla Brexit sembra oramai alle spalle. Il massiccio riposizionamento degli operatori finanziari che sono stati spiazzati dalla scommessa persa è avvenuto. Fortunatamente, lo scenario di vittoria del Leave, poco considerato dai mercati e dagli scommettitori ufficiali è stato seriamente preparato dalla Bank of England (BoE), la Banca Centrale britannica.

Una rete di protezione era stata silenziosamente messa in campo nei giorni prima del referendum: la BoE aveva acceso delle swap-lines dedicate in grado di fornire fondi a breve termine alle banche in situazione di forte stress dei mercati; sono stati fondamentali 250 miliardi di sterline in preziosa valuta estera, necessari ad assecondare il preventivato, forte calo della moneta britannica.

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Questa politica di prevenzione ha evidentemente pagato: nonostante il crollo della sterlina di quasi il 10% rispetto al dollaro e il panico sui mercati azionari, La London stock echannge ha sperimentato dei cali contenuti (meno 3,15%), mentre l’Europa cedeva l’8% e oltre. Banche e fondi hanno gestito in maniera ordinata il massiccio deflusso di capitali.

La sfida ora è quella di mitigare gli effetti avversi della Brexit sul dato economico congiunturale di medio-lungo termine in un’ottica di “damage control”. Nel Regno Unito le primissime stime ufficiali parlano di un rallentamento della crescita del Pil dello 0,2% per tre anni. Certamente la percentuale di imprese britanniche pessimiste circa le prospettive future dell’economia è salita a un preoccupante 49%, dal 25% registrato nei giorni di irrazionale euforia pre-referendum.

Allo stato attuale tutte le aspettative sulle vendite, le esportazioni e gli investimenti sono depresse e sono ovviamente da tenere in conto effetti psicologici di contrazione dei consumi interni dovuti al clima di incertezza politica. Tuttavia, drastiche revisioni possono essere dietro l’angolo. E non necessariamente al ribasso. L’indebolimento della sterlina, che tenderebbe verso la parità con l’euro entro 12 mesi anche grazie alla politica monetaria espansiva della BoE, potrebbe innescare un forte declino delle importazioni, ma anche una fiammata improvvisa del valore delle esportazioni. La forte vocazione verso l’export dell’economia britannica (soprattutto verso gli Usa) potrebbe essere incentivata dal riposizionamento della sterlina nei rapporti di forza tra le valute internazionali.

Alcuni fattori di rischio per l’economia del Regno Unito si stanno cristallizzando: il mercato immobiliare è finito sotto i riflettori proprio negli ultimi giorni, con la sospensione del riscatto delle quote di alcuni fondi storicamente più importanti nel settore (M&G e Standard Life). Anche secondo la BoE, il mercato immobiliare ha subito un afflusso di capitali speculativo che potrebbe ridursi rapidamente nel post-Brexit e inasprire in senso pro-ciclico il ridimensionamento del mercato, con impatti a cascata sul resto dell’economia.

L’alto livello di indebitamento (oltre il 170% del reddito disponibile) rende le famiglie molto vulnerabili a un aumento della disoccupazione e dei costi di finanziamento. Mentre a livello macro-economico, nel breve termine il deficit commerciale resterà elevato rendendo il Paese estremamente dipendente dall’afflusso costante di investimenti diretti e di portafoglio.

La BoE ha preso una posizione attivista di carattere dichiaratamente anticiclico. Pochi giorni dopo lo shock Brexit, ha rilassato i requisiti di capitale richiesti alle banche britanniche in contropartita dell’erogazione di prestiti. Si tratta del coefficiente di riserva a fronte di attività finanziarie rischiose (il cosiddetto Ccbr, ovvero Countercyclical-capital buffer rate), ridotto di 50 punti base allo 0% fino a giugno 2017. In tempi normali, la banca centrale prevede che ogni istituzione finanziaria detenga una riserva di capitale pari allo 0,5% dell’esposizione creditizia. Azzerando questo parametro la banca centrale britannica ha liberato sei miliardi di sterline di riserva obbligatoria a fini prudenziali. Non solo. Per via dell’effetto leva il sistema bancario potrà erogare 150 miliardi di sterline di credito in più verso imprese e famiglie.

Nel periodo eccezionalmente instabile dopo il fallimento di Lehman Brothers, la BoE ha abbassato i tassi per 4,5 punti percentuali in soli sei mesi. Tuttavia, i tassi di interesse sono ormai rasenti lo zero (0,5%) dal 2009. In analogia con l’eurozona, dove i tassi sono scivolati in territorio negativo, è controverso affermare che un taglio di pochi punti base possa essere di stimolo all’economia reale. Se la BoE dovesse decidere di intervenire, lo farà nel meeting di agosto, quando potrebbe deliberare un taglio di almeno lo 0,25%.

Secondo il mio punto di vista, è però più plausibile che la BoE ricorra nuovamente a politiche monetarie non convenzionali, al fine di contenere i tassi di interesse di lungo periodo e stimolare la crescita; in primis, vedo possibile una ripresa del programma Qe (Quantitative easing) di acquisto di titoli di Stato (Gilts) e titoli corporate, già attuato tra il 2009 e il 2012 per 350 miliardi di sterline. Gli acquisti di titoli potrebbero riprendere fino a un massimo di 500 miliardi di sterline.

Ma ci sarà il temuto impatto negativo della Brexit sull’eurozona? La posizione del Regno Unito come hub finanziario (il settore finanziario britannico vale circa 10 volte il Pil), espone l’eurozona agli spillover di carattere finanziario. Un terzo delle esportazioni britanniche di servizi finanziari e assicurativi è verso l’Unione europea; e inoltre più della metà dei prestiti transfrontalieri del settore bancario del Regno Unito è verso i suoi partner comunitari, mentre almeno la metà degli investimenti diretti esteri arriva dall’Unione.

Paradossalmente, la reazione dei mercati, ma anche il quadro economico post-Brexit è diventato più pesante nel resto d’Europa che nel Regno Unito. La Grecia è di nuovo in recessione (meno 1,4% nel primo trimestre 2016). La crisi del sistema bancario italiano è a un punto critico, con un’ondata di ricapitalizzazioni forzate che potrebbe indurre un’azione unilaterale del governo, con delle ripercussioni molto negative sul percorso di implementazione dell’Unione bancaria. Nel breve termine, saranno le misure non convenzionali della Bce a influenzare il quadro di stabilità finanziaria. Il massiccio afflusso di capitali verso i titoli governativi tedeschi ha abbassato i rendimenti verso livelli negativi record, rendendo il 70% del debito tedesco non acquistabile dalla Bce. Una modifica delle regole di ingaggio del Qe è dunque oramai nelle carte da giocare di Draghi.

Marcello Minenna è docente di Finanza matematica alla Bocconi di Milano