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Le proteste degli agricoltori a Bruxelles, Liegi e diverse capitali europee hanno ancora una volta costretto la Commissione europea a rinviare la firma dell’accordo commerciale tra Ue e Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Bolivia e Paesi della Comunità andina). Un trattato giudicato iniquo e fuori dalla storia, i cui negoziati sono stati avviati nel 1999 e conclusi vent’anni dopo.
Per un briciolo di Pil
Giunto oggi alla fase finale di ratifica, l’accordo promette benefici macroeconomici irrisori, uno 0,05 per cento di crescita del Pil, secondo lo stesso studio della Commissione, a fronte di potenziali ricadute negative sensibili per l’agricoltura, l’ambiente e i diritti umani.
Se per gli ultimi due elementi l’Unione ha già fatto marcia indietro anche a livello di politica interna, l’agricoltura resta un tema attorno a cui ruota il consenso politico di diversi gruppi. Lo dimostra il dialogo strategico avviato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel gennaio 2024, all’indomani delle proteste dei trattori, per blandire la categoria.
Liberalizzazione dannosa
Tuttavia, il tentativo non sembra reggere alla prova dei fatti. Bruxelles resta intenzionata a smantellare i già fragili meccanismi di regolazione dei mercati e degli standard di qualità, tracciabilità e sostenibilità, sacrificandoli sull’altare di un accordo di libero scambio con il blocco del Mercosur, spinto dai settori europei dei macchinari, automotive e chimico-farmaceutico e dai latifondisti sudamericani.
La liberalizzazione dell’82 per cento delle importazioni agricole da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay è criticata dalle organizzazioni del settore primario nel Vecchio continente. Il timore è che le importazioni a basso costo di carne, cereali e altri prodotti agricoli possano causare impatti gravi sui prezzi del mercato interno, mandando in sofferenza le piccole e medie imprese del settore, che ancora oggi sono la maggioranza assoluta delle aziende agricole europee.
Concorrenza sleale
I contadini del coordinamento europeo Via campesina parlano di una concorrenza sleale strutturale, che colpisce soprattutto le aziende piccole e medie e accelera la desertificazione delle campagne. La promessa di attivare clausole di salvaguardia e compensazioni economiche, a fronte delle perdite causate dal trattato, non ha convinto nessuno.
Come ha chiarito Andoni Arriola, del coordinamento di Via campesina, “l’Unione vuole istituire un fondo per compensare gli agricoltori europei dei danni causati dall’accordo Ue-Mercosur, ma questi danni non dovrebbero essere consentiti fin dall’inizio. Il modo più semplice per evitarli è non firmare l’accordo”. La competizione, secondo Arriola, “distrugge un’agricoltura più sociale e sostenibile ed è dannosa per i redditi agricoli, per l’ambiente e, più in generale, per le popolazioni rurali dei Paesi firmatari”.
Perse 4,5 milioni di aziende
Non è un caso che tra il 2005 e il 2020 l’Ue abbia perso 4,5 milioni di aziende agricole: un risultato diretto di politiche commerciali neoliberiste che hanno sacrificato l’agricoltura contadina sull’altare del mercato globale. Le mobilitazioni ora stanno esplodendo in tutto il continente, costringendo la politica all’ennesima ritirata.
Uno sguardo alle motivazioni che le muovono è utile. Se è vero che in questo momento scendono in piazza sia i contadini della Via campesina che gli agricoltori industriali del Copa-Cogeca, di cui fanno parte Coldiretti, Cia e Confagricoltura per l’Italia, è anche vero che ci sono differenze nelle richieste politiche emerse dalle diverse piazze.
Più regole e più sovranità
I contadini di Via campesina non chiedono più deregolamentazione e meno tutele ambientali, come invece abbiamo visto fare alle organizzazioni di categoria nostrane nel tentativo di abbattere il Green Deal europeo e le sue strategie per ridurre pesticidi e fertilizzanti, o aumentare la biodiversità in campo. Al contrario, chiedono più regole, più sovranità alimentare, prezzi giusti e politiche pubbliche per garantire reddito e futuro alle nuove generazioni di agricoltori.
In questo contesto, la protesta contadina non è corporativa né regressiva: è una rivendicazione che parla di democrazia, giustizia sociale e ambientale. Chiede mercati regolati, il rafforzamento delle organizzazioni comuni di mercato, il divieto di vendite sottocosto e il rispetto di standard comuni.
Fermare l’accordo si può
L’accordo Ue-Mercosur può ancora essere fermato: basta che una minoranza di blocco di Stati membri mantenga la propria posizione contraria. Italia, Francia e Polonia hanno una responsabilità particolare. Dopo tante dichiarazioni di sostegno agli agricoltori, è il momento della coerenza. Perché il danno, questa volta, non va compensato: deve essere evitato.
Francesco Panié, Centro Internazionale Crocevia






















