Una riforma-farsa, il governo ritiri il decreto. È questa la posizione assunta dai lavoratori del ministero dei Beni culturali di Roma, contrari alla riforma firmata lo scorso 22 gennaio dal ministro Dario Franceschini. Fp Cgil, Fp Cisl e Uil Pa hanno indetto lo stato di agitazione dei dipendenti e convocato un sit-in il 31 gennaio prossimo davanti la sede del dicastero. Secondo i sindacati, il decreto del governo “rappresenta una destrutturazione del ministero perché, frammentando la tutela del patrimonio, prospetta in un futuro molto prossimo la cessione della gestione da parte dello Stato a terzi, soprattutto in mancanza di una seria e sostanziosa politica di assunzioni”. denunciano che l’intenzione dell’esecutivo è vendere beni ai privati “spingendo esclusivamente una logica di introito denominata valorizzazione”, e ricordano come il decreto sia stato “attuato in assenza di un confronto costruttivo propedeutico con le organizzazioni sindacali e i Comitati tecnico-scientifici”.

Lavoratori e sindacati fanno notare che “la prima fase della riforma ha prodotto una paralisi funzionale delle strutture interessate” e che “questa nuova riorganizzazione aumenterà ulteriormente i disagi, poiché sopravvenuta mentre ancora non era stata assimilata la prima fase e poiché comporterà spese (altro che costo zero) in termini di tempo, sforzo e denaro per riadattare le strutture al nuovo assetto”. Fp Cgil, Fp Cisl e Uil Pa rilevano anche che “la mobilità volontaria del personale, contrattata e prevista da mesi, necessaria a riavviare la funzionalità delle strutture, adesso è messa in discussione da un ulteriore riassetto dei posti di lavoro e appare rinviata sine die. Il decreto, oltretutto, non parla di mobilità volontaria ma solo di assegnazioni d’ufficio”. Di qui le richieste al ministro di “ritirare il decreto e condividere un percorso di definizione dei fabbisogni organici e dei confini dei nuovi istituti con i sindacati e le associazioni del settore”. Cgil, Fp Cisl e Uil Pa chiedono anche “di non depotenziare la missione di tutela, frammentando il patrimonio archeologico romano”, di prevedere nuove assunzioni e di “non procedere alla fusione di Soprintendenze archivistiche e bibliografiche”.