Il centro antiviolenza “Fabiana” di Corigliano Calabro nasce il 1° ottobre 2013. Era diverso tempo che alcune ragazze della zona, assistenti sociali, psicologhe, avvocati, sentivano l’esigenza di creare una realtà per dare supporto alle donne vittime di violenza. Un evento tragico ha portato alla decisione di costituire l’associazione. Il 24 maggio del 2013, Fabiana Luzzi di 15 anni, viene brutalmente uccisa dal suo fidanzato. Nell’ennesimo tentativo di confronto per chiudere la storia, la ragazza viene accoltellata, lasciata a terra agonizzante. Il ragazzo, come se non bastasse, ha il tempo di andare a prendere una tanica di benzina e darle fuoco.

Un evento che scuote la zona e le coscienze di tante donne, che si sentono colpite quasi personalmente. Dal 2013 il Centro antiviolenza ha dato sostegno a più di 120 donne, per la maggior parte italiane – e che subivano violenze da mariti e compagni italiani – ma anche straniere. Non c’è cultura, ceto sociale o formazione che fa la differenza, sono in tante che hanno subito violenza psicologica, economica o fisica. L’unica cosa in comune è essere finite in quello che le esperte chiamano “spirale” (o ciclo) della violenza.

Sono tre le fasi consequenziali che si ripetono:

1° fase - Crescita della tensione. L’uomo esercita una pressione con espressioni e gesti ostili, atteggiamenti scontrosi o minacce, una violenza psicologica che porta la donna ad isolarsi ed interrompere le relazioni sociali.

2° fase - Esplosione della violenza. In questo periodo inizia il maltrattamento vero e proprio, e le aggressioni, cercando di far ricadere sulla donna le responsabilità del comportamento e alimentando il senso di colpa.

3° fase - Pentimento e attenzioni amorevoli. L’uomo cerca giustificazioni e scuse, e con promesse di cambiamento ottiene il perdono della donna che cerca di nascondere quanto accaduto.

Il ciclo della violenza non si ripete solo una volta, ma spesso, purtroppo, deve accadere più volte prima che le donne si rivolgano a qualcuno per chiedere aiuto. E tanti fatti di cronaca ci raccontano che non sempre si fa in tempo. “Il centro – spiegano i promotori – gestisce situazioni ordinarie o di emergenza, quando le donne chiamano subito dopo aver subito una violenza. E allora si attiva una rete concreta di sostegno tra ospedali, forze dell’ordine e centri di rifugio. Superata l’emergenza, se la donna vuole continuare nel percorso, posso essere utili anche altre associazioni, come la Cgil, per il sostegno al lavoro. È la rete, la forza comune che può aiutare le donne in difficoltà, soprattutto quando il grido di aiuto è appena un lamento, che se sottovalutato rischia di degenerare. Facciamo rete, collaboriamo tutti, ma diffondiamo anche una diversa cultura”.