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Il ministro Calderoli ha annunciato in Parlamento che quattro regioni (Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte) hanno già chiesto l’Autonomia differenziata e che il prossimo 3 ottobre cominceranno le procedure per arrivare alle intese. Zaia ha affermato che il 3 ottobre sarà proprio una bella giornata.
Ieri, invece, è stata una bellissima giornata per i cittadini e le cittadine che l’autonomia non la vogliono: sono state consegnate alla Corte di Cassazione ben un milione e 300mila firme in calce al quesito referendario per la cancellazione della Legge 86/2024. Nel frattempo però la Commissione guidata da Sabino Cassese, che ha il compito di definire i Lep e i relativi costi, ha nominato una sottocommissione di 12 componenti che deve stabilire i criteri per la definizione dei costi, insieme a un’altra commissione tecnica che dovrà – sulla base di quei criteri – definire i fabbisogni essenziali, cioé le risorse che servono. Se, come pare, i criteri saranno legati alle specifiche differenze territoriali, chiamasi gabbie, il gioco sarà fatto. Se il costo della vita in Calabria e Campania sarà considerato inferiore a quello di Veneto e Lombardia, basterà fotografare l’esistente con buona pace dei diritti uguali per tutti e tutte previsti dalla Costituzione. Ne parliamo con Gianfranco Viesti, economista all’Università di Bari.
Che fine ha fatto la commissione presieduta da Cassese, che avrebbe dovuto definire i Lep prima dell'approvazione dell'Autonomia differenziata?
Hanno fatto una ricognizione della legislazione esistente, ma solo per le materie che lo Stato potrebbero trasferite alle regioni; non si sono occupati delle materie che invece sono già nelle potestà regionali e questo ha provocato molte polemiche. La ricognizione è stata conclusa, stando al giudizio di Ignazio Visco, in maniera un po’ vaga. È bene ricordare però che la legge è in vigore e già domattina la presidente del Consiglio e i presidenti di regione possono siglare le intese per la devoluzione delle materie previste. E per alcune materie, la Commissione ha ritenuto che non si debbano fissare i Lep.
Proviamo ad entrare nel merito del lavoro della Commissione.
Prima di farlo vorrei sottolineare una questione importantissima. I Lep sono questione rilevantissima dal punto di vista dei diritti fondamentali dei cittadini e delle cittadine, ma c’entrano poco con l’autonomia differenziata; difficilmente si approderà a qualcosa. Parlare di Lep è principalmente una strategia comunicativa; si parla dei Lep e non della questione finanziaria chiave dell’autonomia differenziata che è l'aliquota di compartecipazione, cioè quante tasse rimangono nella regione “a maggiore autonomia”? Questa aliquota verrà fissata annualmente dalla Commissione paritetica che si insedierà dopo la firma dell'intesa. A seconda di qual è l'aliquota, ovviamente, ogni regione tratterrà sul proprio territorio una parte più o meno consistente del gettito fiscale anche a seconda delle materie per le quali ha chiesto la devoluzione. Altra cosa da evidenziare è che le commissioni sono una per regione, quindi ci sarà una trattativa privata caso per caso. Questo è il punto finanziario chiave della Legge Calderoli.
Torniamo per un momento ai Lep. Quando la Commissione Cassese fu insediata c’è chi sostenne che, per quanto riguarda i livelli essenziali delle materie che corrispondono a diritti fondamentali, definirli e definirne i rispettivi costi avrebbe comportato l’implosione del bilancio dello Stato. Cosa sta succedendo?
Quel che sta succedendo è quanto meno interessante: Cassese ha nominato 12 persone alle quali ha assegnato il compito di fissare i criteri in base ai quali calcolare i costi dei Lep. Tra questi, praticamente tutti sostenitori dell’autonomia differenziata, vi è anche la presidente della Commissione tecnica sui fabbisogni standard, ex consulente del presidente Zaia, Elena D’Orlando. La Commissione dei 12 ha ipotizzato dei criteri per definire i fabbisogni standard, quindi i costi dei Lep, a mio avviso assolutamente inaccettabili: le caratteristiche dei territori, le condizioni e il costo della vita della Regione, il clima, gli aspetti socio-demografici della popolazione residente. Insomma è in corso un’iniziativa politica, attraverso la tecnica, per fissare questi livelli in maniera differenziata fra le regioni, e ai livelli più bassi possibile soprattutto al Sud in modo da renderli compatibili con gli attuali assetti di bilancio.
Visti i criteri enunciati dai 12, ora la spinta a siglare le intese sarà più forte?
Lo scopo mi pare quello di produrre dei numeri che dicano che la spesa è già sufficientemente equilibrata all'interno del nostro Paese. Verosimilmente per alcuni mesi assisteremo a un totale silenzio, non si saprà assolutamente niente dei conti che farà la Commissione tecnica fabbisogni standard. Fra sei, otto mesi verranno fuori dei numeri – saranno esito di calcoli complicatissimi praticamente impossibili da ricostruire e discutere – che certificheranno, magari, che le cose vanno bene così e che, visti i criteri differenziati, in Veneto o in Lombardia servono più risorse per finanziare i servizi che non in Campania o Calabria.
Cosa, invece, occorrerebbe fare per ridurre i divari?
Innanzitutto non parlare più di autonomia differenziata: stabilire i diritti, misurarne i costi e quindi i fabbisogni standard con criteri uguali per tutti, intraprendere un percorso pluriennale molto lungo di convergenza delle regioni meridionali verso questi livelli. È stato fatto, in passato, per alcune materie, come gli asili nido e gli assistenti sociali. Invece potremmo trovarci di fronte al paradosso che con la Commissione Cassese che doveva servire a uniformare bisogni e diritti su tutto il territorio nazionale, si arrivi alla sanzione della diversificazione dei diritti a seconda di dove si vive.
Le firme sono state consegnate, ora?
Continuiamo a parlare con gli italiani e le italiane per spiegare cosa significa quella norma. È importate registrare la compattezza delle forze di opposizione, della Cgil e della Uil, di tantissime associazioni scese in campo unitariamente. Ed è importantissimo l’intervento contro questa legge della Conferenza Episcopale. Se si continua a fare pressione politica, la questione si può risolvere politicamente e cioè convincendo Forza Italia e Fratelli d'Italia che i costi politici di questa operazione per loro sono molto maggiori dei benefici che possono avere. La Legge Calderoli è stata fatta per tre motivi principali: il primo è che sulla materia ci sono opinioni molto diverse fa la Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia e quindi il testo è una specie di compromesso, sbagliato e insufficiente, tra le tre forze di maggioranza. La seconda ragione è che con la legge si è tentato di portare il discorso sui Lep per contrastare l’opposizione nel Mezzogiorno. Infine il terzo motivo, per cui è stata fatta questa legge, è che così il Parlamento viene tagliato fuori, tutta la materia è esclusivamente nelle mani della presidente del Consiglio che deciderà come procedere. È molto grave è che su tutto quello che può succedere in futuro il Parlamento conti pochissimo. In realtà, da questo punto di vista c'è già il premierato, tutto il potere è nelle mani della presidente del Consiglio.