I suoi romanzi sono intrisi dell’occuparsi della cosa pubblica, del prender parte, del non essere indifferenti. Il commissario Riccardi, nella sua azione quotidiana, nel suo lavoro si oppone e contrasta il fascismo mettendosi dalla parte degli ultimi. I bastardi di Pizzofalcone, considerati scarti dalla dirigenza della polizia, fanno squadra e insieme si prendono cura del quartiere e risolvono casi. Sara e la bionda, senza apparire e confondendosi con le strade e le piazze che attraversano, non sopportano soprusi, ingiustizie e pagando di persona costruiscono legalità.

Maurizio De Giovanni è un appassionato della democrazia e della partecipazione, sente forte la responsabilità dell’impegno civico e democratico. È preoccupato per lo svuotamento della democrazia causato dalla scarsissima partecipazione soprattutto dei giovani, e questo porta con sé “una bassissima soglia di resistenza all'usurpazione dei diritti”. Il suo invito è netto e chiaro: andare a votare per il referendum dell’8 e 9 giugno.

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Tempo fa ha affermato che andare a votare per i referendum è una battaglia di civiltà. Ci spiega il perché?

Innanzitutto, un referendum costa, costa alla collettività, in termini di organizzazione, di raccolta firma. Costa moltissimo, quindi già l'utilizzo del denaro pubblico per mettere a disposizione della gente l'utilizzo di un diritto che è anche un dovere come il voto implica una responsabilità. Poi, trovo che la partecipazione democratica sia la grande carenza del nostro tempo, è gravissimo che si vada a votare così poco, che ci sia un astensionismo così elevato. 

La Repubblica Italiana è nata da una grande ondata di partecipazione. E prima ancora, ci siamo liberata dal nazifascismo con la Resistenza che è stata fatta da chi è andato in montagna, o da chi ha partecipato alle quattro giornate di Napoli, un vero e proprio moto di popolo. E poi c'è stata una grande partecipazione con l'affluenza al voto del 2 giugno del 1946, quasi il 100% degli aventi diritto. Ecco, allora ci spiega il senso della parola partecipazione?

La partecipazione è la radice della democrazia. La democrazia ha senso se il popolo partecipa, altrimenti perde di senso, è svuotata completamente di senso. Democrazia significa il potere del popolo: e se il popolo non partecipa alla gestione del potere, le rare volte che viene chiamato a farlo, perché come sappiamo gli istituti della democrazia diretta sono pochissimi, significa che c'è un progressivo svuotamento della parola stessa. Non c'è democrazia senza partecipazione. Succedono fatti che mi preoccupano moltissimo: per esempio la bassissima partecipazione al voto al voto dei diciottenni. Ricordo quando ho compiuto 18 anni e sono finalmente potuto andare a votare, per me è stato importantissimo e bellissimo. Pensare che adesso la metà dei diciottenni non ha interesse ad andare a votare per la prima volta è una cosa che mi getta nell'angoscia più totale. C’è un progressivo distacco delle persone dalla cosa pubblica, questo fa perdere anche il senso della collettività. Ognuno di noi pensa di essere un singolo, diverso dagli altri. E questo comporta una bassissima soglia di resistenza all’usurpazione dei diritti. Andare a votare non è come partecipare a una riunione di condominio, è scegliere. Siamo governati da gente che ha il 26% del 48% questo il tasso di partecipazione al voto alle ultime politiche, meno del 10% del corpo elettorale. È un attestato di disinteresse alla cosa pubblica, è devastante.

Per di più, questo governo promuove e approva delle norme che disincentivano ancora di più la partecipazione democratica: penso al decreto sicurezza e alla sanzione negativa del dissenso.

Non c'è dubbio alcuno, il Governo attua una progressiva imposizione di sanzioni contro ogni forma di manifestazione. Da ultimo la proposta di legge sulla caccia, che addirittura stabilisce delle multe per chi si oppone alla all'esercizio della caccia. Siamo a livelli antidemocratici mai toccati prima nel disinteresse quasi totale che, secondo me, è di una gravità estrema. E trovo vigliacco, estremamente vile e antidemocratico dire alle persone: “Non andate a votare per non raggiungere il quorum”. Invalidare una consultazione popolare è di una gravità estrema, soprattutto se la posizione è espressa da personaggi che fanno parte dell'istituzione al massimo livello.

E come si fa a motivare i giovani a ritrovare la voglia di non voltarsi dall'altra parte?

Spiegandoglielo, spiegandogli la verità, mostrandogli le conseguenze di questo disinteresse. Facendogli vedere le cariche della polizia a Pisa, per esempio. Facendogli vedere dell'assurdità delle morti sul lavoro. Raccontando la storia di quell’uomo o di quella donna morti di lavoro, spiegando che non andare a votare per andare al mare significa diventare corresponsabili di questa strage. Corresponsabili perché se l'ente appaltante, la grande azienda che fa profitti enormi, li fa sulla base del mancato esercizio del controllo delle norme sulla sicurezza del lavoro nei subappalti, la colpa è anche nostra perché non siamo andati a votare per il referendum. Questo va detto con chiarezza. Se il padre o lui stesso perderà il posto senza un motivo e non potrà rivendicare nessuna reintegra sarà stata colpa del suo non andare a votare. Poi, si può non essere d'accordo, ma si deve andare a votare e dire no.

Rimaniamo al merito dei quesiti.

Questi referendum impattano sulle esigenze, sui diritti degli ultimi, di quelli che non hanno voce. La sicurezza sul lavoro è un tema fondamentale. Il Presidente della Repubblica stesso si è espresso più volte su questo, è uno dei suoi argomenti principali. Il diritto di cittadinanza per gente che magari è nata, ha studiato in questo Paese, paga regolarmente le tasse, o è figlia di persone che lavorano e che pagano regolarmente le tasse, è una corsa a ostacoli: è assurdo che sia così lungo e complesso ottenere la cittadinanza. Conosco scrittori e scrittrici di grandissimo livello che sono nati e cresciuti qui, che hanno studiato con profitto e a 18 anni devono fare domanda per diventare cittadini italiani. Questa domanda spesso ha un iter che prende oltre due anni. Una situazione incivile, indegna di un Paese civile.

In questo contesto qual è la responsabilità degli intellettuali?

Ormai l'espressione intellettuale è vuota di senso, la differenza la fa il microfono, non l'essere intellettuale. Limitare ai cosiddetti intellettuali il compito di parlare o di esprimere, assolve gli altri. Oggi è importante che chiunque abbia un microfono in mano: cantanti, attori, calciatori, presentatori televisivi, professori universitari, influencer, comprendano la responsabilità che ha, e ha il dovere di far sentire la propria voce. Ha il dovere di dire quello che pensa. Io, nel mio piccolo, sento molto la responsabilità del microfono: faccio lo scrittore, non sono certo un sociologo, né un filosofo, né un politico, né un maestro di pensiero, però il microfono me lo danno. Avere il microfono in mano è una responsabilità: questo è il mio messaggio che sento urgente, nessuno si deve sentire esentato dal dire la propria, dal partecipare.