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A Piazza Re di Roma c’è una piccola folla e questo è già un grande risultato. La Cgil di questo pezzo di mondo, la Cgil Roma Sud Pomezia Castelli, ha scelto questo crocevia popolare per chiudere la maratona referendaria del quartiere. È la sera del 5 giugno. Sono passati due mesi e mezzo, quasi tre, giorno più giorno meno, di volantinaggi a tappeto. La sfida era, è titanica: essere più pervasivi e capillari di quanto avrebbe potuto esserlo la Rai, se solo avesse rispettato il suo ruolo di servizio pubblico.
Da qui, dal centro di Piazza Re di Roma, se giri su te stesso come un bambino vedi le vie che portano ovunque: Via Aosta verso la Tangenziale Est, Via Pinerolo verso la Casilina e Roma Est, Via Albalonga verso la Cilicia e Piramide, Via Cerveteri verso Circo Massimo. E Poi Via Appia, regina viarum, la regina di tutte le strade, patrimonio Unesco, che nasce qui, a San Giovanni, nel cuore del VII Municipio e della città, e arriva fino a Brindisi.
Un punto di arrivo e di partenza, dove la bocca della metropolitana ingoia e sputa ogni giorno migliaia di persone. Il parchetto giochi dove i nostri figli hanno imparato ad andare sull’altalena. Le panchine contese tra anziani stanchi di passeggiare, giovani pronti a bighellonare, lavoratori in pausa di tutte le razze, umanità varia. L’area cani. Il muretto pieno di bottiglie di birra vuote e anche la panchina rossa dedicata a Pamela Mastropietro, giovanissima vittima di un femminicidio atroce che lasciò tutti sconvolti. Tutto intorno macchine, smog, rumore, semafori, il brulichio della grande città in moto perpetuo.
Qui come ovunque c’è il mondo che pulsa. Qui più che altrove, visto che i dati ufficiali dicono che il VII è il municipio più popoloso della Capitale, una città di oltre 300 mila abitanti nella città. Un mondo che, anche qui, la Cgil ha tentato ostinatamente di riconquistare alla politica e alla partecipazione. La gente che fa la storia, quella che sa benissimo dove andare – lo si vede dalla piccola folla di questa sera – e ha capito benissimo che questa volta votare coincide esattamente con il pensare agli affari propri. Che questo voto è un voto per le proprie esistenze.
È iniziata e finita così, questa corsa in salita a perdifiato. In questo quartiere come nel resto d’Italia. Con un esercito di militanti volontari iscritti e lavoratori del sindacato che si sono armati di volantini e pazienza e hanno fatto partire un lungo tam tam. Un piccolo grande terremoto senza panico e macerie che ha scosso il quartiere dalle fondamenta. Dalla Coin che affaccia il suo sguardo lungo di vetro e cemento oltre le mura, in quella piazza San Giovanni cuore pulsante della sinistra italiana, un cuore che si è fermato per il funerale di Enrico Berlinguer e ha battuto all’impazzata per mille concerti del Primo Maggio. Fino allo sterminato abbraccio di Cinecittà, stretto tra gli Studios, Don Bosco, la fermata degli autobus davanti agli uffici del municipio e i pratoni di Subaugusta, attraversati dalla splendida immortale cicatrice dell’acquedotto romano, e riflesso nel vetro della postmodernità di Cinecittà 2. Giù giù fino all’Anagnina, trincea di pendolari a metà strada tra il centro e la cintura extraurbana. E oltre, appena un unghia sulle mappe da Ciampino, Grottaferrata e Frascati.
È iniziata e finita così, una sfida all’ultimo volantino, all’ultimo indeciso, all’ultimo inconsapevole. Una partita a tennis con il vicino ignaro. Io lo lascio nella buca, tu lo butti, io lo rimetto. Niente scorciatoie. Nessuna legge del pollo, ci perdoni il nostro illustre concittadino Trilussa. A ognuno il suo volantino. Se sei ancora diciassettenne nonostante la barba portalo a casa e fallo leggere ai tuoi. Se pensi di essere contrario o disinteressato, ti prego, prendilo e dagli un’occhiata. Tutte le strade da battere, non lasciare niente di intentato. Lo abbiamo fatto e pensato tutti. Ovunque e qui.
È l’Appio Tuscolano, è il VII Municipio della Capitale, per noi indigeni che da ragazzini nei suoi parchetti ci abbiamo distrutto millemila paia di scarpe calciando un pallone e poi, un po’ più grandi, abbiamo dato i primi baci appassionati, resterà sempre casa. Ed è in questo territorio, dove abbiamo scoperto il mondo guardandolo passare una persona per volta, un po’ terra promessa e un po’ roccaforte da difendere come moderni ragazzi della Via Pal, che siamo tornati a fare comunità, a parlarci, a fermarle, una alla volta, quelle persone indaffarate che passavano veloci come formiche operaie, a scambiarci due parole, un sorriso, a incassare qualche no, persino qualche sguardo truce, a tirare un sospiro di sollievo per qualche sì entusiasta, a volte anche a discutere, che Roma Capoccia è piena di capoccioni.
Il telefono è rimasto in tasca, la chat è stata solo uno strumento per darsi gli appuntamenti e scambiarsi le foto. Niente call, niente piazze virtuali, niente cuoricini, commenti o leoni da tastiera: solo persone in carne e ossa, voci e rumore. E persino una corsa in bicicletta di metà campagna, una pedalata carica di entusiasmi, ma anche di pensieri. E un grande evento della Filcams Cgil una manciata di giorni fa che ha segnato la sortita nel quartiere di Maurizio Landini, passato ovunque in Italia questo ultimo mese, anche per il VII Municipio.
È successo tutto in fretta, ma nessun angolo è stato risparmiato al mare di carta patinata gialla e rossa – colori che qui significano qualcosa. Nessuno spazio di affissione è stato dimenticato: colla, pennello e manifesto. Tu lo strappi, io lo rimetto. In un quartiere dalle tendenze elettorali a sinistra, costellato tuttavia da roccaforti nere che fanno parte della storia passata e recente dell’estrema destra romana e non solo. Acca Larenzia, proprio dietro Via delle Cave, la sede di Forza Nuova alla fine sgomberata e chiusa a Via Taranto, ma riapparsa non lontano da Arco di Travertino. E quella che fu la storica sede dell’Msi dietro Piazza Tuscolo.
Si è volantinato ovunque, in una mappa che è facilmente ripercorribile scorrendo l’album di foto che hanno viaggiato sulla chat in questi mesi. Lo schema è sempre quello. Una squadra di volontari al centro dell’inquadratura. Sullo sfondo un angolo, un negozio, una fermata, un punto riconoscibile a chi è del quartiere.
A elencarli tutti si farebbe notte. Villa Lazzaroni con il nuovissimo playground meta di pellegrinaggio infantile. L’ex cinema Maestoso, un pugno allo stomaco per tanti di noi che lì ci hanno visto film indimenticabili prima della brutale e insensata chiusura e dell’abbandono. Via Sannio con le sue occasioni e le sue sòle. E poco più in là la Romulea, l’epica squadra di San Giovanni su cui vigila il faccione di Francesco Totti, immortalato nel murales della scuola Pascoli lì dietro.
E ancora, le fermate della metro, tutte, nessuna esclusa – e sono tantissime –: Ponte Lungo, proprio di fronte al Liceo Augusto. Furio Camillo accanto al centro commerciale Happio, Colli Albani con il suo McDonald’s, e via di seguito fino alla fine della Metro A. La Feltrinelli che un tempo si chiamava Tuttilibri. I mercati, da via Orvieto a Piazza Epiro a Via Magna Grecia. I giardini, da Villa Fiorelli a Carlo Felice. Dal parco archeologico della Caffarella, il più grande d’Europa, alla piccola, incantevole Villa Lais. È capitato spesso di camminare per strada, il sabato mattina, e incrociare persone con il volantino in mano, spiare le loro conversazioni sul voto, sedersi a bere un caffè e riconoscere quella macchia giallorossa che spuntava dalle buste della spesa del vicino di tavolino.
Strada per strada, parchetto per parchetto, mercato per mercato, incrocio per incrocio, buca della posta per buca della posta, la battaglia per i diritti è stata un grande momento di confronto collettivo. La politica è tornata tra la gente ed è tornata a farla la gente. È tornata un po’ di umanità in un quartiere che pure è a venti minuti a piedi dal Colosseo e da via Merulana dove poche settimane fa i grandi del mondo sono passati per l’ultimo saluto a Papa Francesco sepolto proprio nel municipio accanto, a due passi. Siamo tornati a mescolarci, a parlare con il vicino, con il padrone del pub che ti spilla la birra, con i genitori dei compagni di scuola di tua figlia, con il fruttivendolo e il tabaccaio. A parlare di politica, di diritti, delle nostre vite. Campagna permanente. Qui come un po’ ovunque, ma forse qui in modo più sorprendente che altrove, perché Roma sembra sempre un po’ il centro del mondo e questa sbornia glocal, questa disponibilità al confronto, questa curiosità, questa dinamica quasi da bar di paese non te l’aspetti.
Eccola la campagna referendaria che ci ha sorpreso e ha recuperato uno spirito perso nel tempo. Una cosa enorme e complessa fatta di piccoli semplici gesti, “salve signora, posso lasciarle un volantino sui referendum dell’8 e del 9 giugno? Grazie”. Bentornata politica, qui al settimo municipio, nel cuore di Roma Sud, come altrove. Domani tutti zitti, poi si vota. Ma, comunque vada, è stata già un successo.
(Montaggio video di Daniele Diez)