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Il giornalista ed editorialista Carlo Verdelli ritiene l’esercizio del voto una vera e propria disciplina civile. L’informazione, soprattutto la Rai, hanno una responsabilità enorme nel silenzio che avvolge l’appuntamento dell’8 e 9 giugno.
“L'astensione – afferma - è il sintomo di una depressione sociale, di una democrazia deprivata. Per questo affermo che occorre andare a votare, anche cinque no, ma occorre dire la propria. Il mio non è innanzitutto un invito a favore dai referendum, ma un invito a favore del voto”.
L’8 e 9 giugno appuntamento con cinque quesiti referendari, tu andrai a votare?
Sì, certo. Andrò a votare perché mi sembrano questioni interessanti, importanti e perché per disciplina civile ho sempre cercato di votare.
Parliamo della disciplina civile: il voto è riconosciuto dalla Costituzione come un diritto, ma anche come un dovere civico.
La libertà di voto è uno dei principi cardini della Costituzione repubblicana che viene dopo la dittatura: è un diritto così fondamentale, e anche così essenziale, che contempla anche il suo contrario che è il diritto a non votare. La Costituzione rappresenta i principi fondamentali sui quali si basa lo sviluppo di una democrazia, dà dei binari entro i quali la Repubblica deve camminare, naturalmente adeguando le pieghe, le curve, i rettilinei, le salite, le discese ai tempi che cambiano.
Tornando dall'infinitamente grande al problema cogente, cosa succede coi referendum?
I referendum sono richieste che partono dal basso verso chi detiene il potere e non riesce a fare alcune riforme. Il costituente nel prevedere la possibilità che cittadini e cittadine esercitassero la democrazia diretta, ha vincolato il successo dei referendum al quorum. Al di là se è da modificare o meno, i numeri dimostrano, che tranne tra il 1974 e il 1995, quando su divorzio, aborto, finanziamento dei partiti dei partiti, ci fu una partecipazione molto importante, dal 1995 a oggi solo quattro referendum su 29 sono riusciti ad ottenere il quorum.
Veniamo all’appuntamento dell’8 e 9 giugno.
Si è discusso pochissimo, quasi nulla, del merito dei cinque quesiti, quelli promossi dalla Cgil e quello sulla cittadinanza. Questioni importanti ma sulle quali non vi è stata nessuna informazione sul merito. Si è discusso un pochino sul fatto che una figura piuttosto importante, il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, ha detto che farà propaganda per il non voto. La mia preoccupazione è che sarà difficile che i cittadini e le cittadine possano esercitare quella disciplina civile di cui parlavo in assenza di una informazione adeguata e di merito. Quella dello schieramento del non voto sarà una vittoria di Pirro, fondata sulla non informazione. La Rai, che è servizio pubblico, non sta facendo niente.
Dal punto di vista della democrazia, che cosa significa?
Significa che ci stiamo abituando ad affidare la gestione della cosa pubblica a scatola chiusa. Basti pensare che alle europee del 2024, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, ha votato meno del 50%. È il record assoluto - per adesso - in negativo. Le politiche del 2022, quelle che hanno portato alla formazione di questo Governo, hanno registrato l'affluenza più bassa di tutte le elezioni dei grandi Paesi dell'Unione europea, ha votato il 64% del corpo elettorale. E il partito che ha vinto, Fratelli d'Italia, ha ottenuto il 26%, ma non del 100%, di quel 64%. Allora qual è la mia preoccupazione? Che per una serie composita di motivi stia prevalendo una sfiducia nei confronti della possibilità che il voto possa incidere nella vita quotidiana, per cui il non voto è una sfiducia nelle istituzioni, una sfiducia nella politica, una sfiducia nel futuro e quindi l’astensione non è motivata da una protesta. L'astensione è il sintomo di una depressione sociale, di una democrazia deprivata. Per questo affermo che occorre andare a votare, anche cinque no, ma occorre dire la propria. Il mio non è innanzitutto un invito a favore dai referendum, ma un invito a favore del voto.
Quindi, se ritieni la partecipazione come possibilità di rivitalizzazione della democrazia, allora l'utilizzo di uno strumento referendario può essere usato come rivitalizzazione della partecipazione e quindi della democrazia?
Certamente, non ho dubbi su questo. Il problema è che la maggior parte dei cittadini e delle cittadine non sa nemmeno che l’8 e 9 giugno si vota. Verosimilmente ci sarà un aumento della informazione dopo il 2 giugno ma il problema della correttezza del servizio pubblico e della comunicazione rimane. Inoltre, penso che chiunque si candidi a governare il Paese avrebbe tutto l’interesse a farlo forte di un largo consenso frutto di una forte partecipazione, tanto più in un momento così complicato per il mondo, non solo per l’Italia. Allora l’appello al non voto è doppiamente miope, per di più a furia di referendum che non raggiungono il quorum si rischia che decada l’istituto. Sarebbe un danno per tutti.