“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Così recita il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione che affida allo Stato e alle sue istituzioni, non un ruolo di puro osservatore neutrale dello scontro sociale, ma una funzione attiva, da protagonista, con il compito di trasformare in diritti esigibili e concretamente fruibili i principi inseriti nella prima parte della Costituzione. È proprio questo uno dei tratti distintivi della nostra “Magna Charta” che la destra e non solo, ha cercato, negli ultimi decenni, di modificare o per lo meno di vanificare, per potersi liberare di ogni “lacciuolo” che impedisce il libero dispiegarsi del predominio del mercato sui diritti.

E tra i diritti fondamentali da difendere vi è la salute come sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, un diritto universale che riguarda ogni persona indipendentemente dal luogo di nascita e dalla nazionalità, infatti l’articolo 32 parla di individuo e non di cittadino; un diritto che proprio tutelando il singolo essere umano agisce nell’interesse della collettività, un diritto che può realizzarsi solo se la Repubblica “Garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Tutto ciò oggi è formalmente garantito dai Lea, i Livelli essenziali di assistenza che proprio sotto l’ombrello dell’articolo 32 indicano gli interventi di prevenzione, cura e assistenza ai quali ha diritto chiunque si trovi sul territorio italiano. Ma già oggi la reale disponibilità dei Lea varia enormemente da regione a regione producendo enormi differenze nell’accesso alla cura. Se in alcune regioni del Sud la mancanza di strutture sanitarie obbliga i cittadini a emigrare verso la pianura Padana, al Nord la possibilità di essere assistiti dipende sempre più dalla dimensione del proprio portafoglio: non mancano ospedali e ambulatori, ma questi sono in gran parte privati pronti a realizzare i loro profitti, approfittando delle infinite liste di attesa presenti nel Servizio sanitario pubblico.

L’autonomia differenziata indebolirebbe ulteriormente la sanità nel meridione, trasformando i cittadini di quelle regioni in clienti delle grandi aziende sanitarie private del Nord, a sua volta trasformato in terreno di conquista delle assicurazioni private, per chi se le potrà permettere. Sarebbe la fine del Servizio sanitario nazionale, che, non dimentichiamocelo mai, affonda le sue radici nella storia del Cln, sezione Alta Italia/Veneto dove, nel pieno della lotta di liberazione, furono elaborati quei principi che nel 1978 furono alla base della riforma sanitaria che diede alla luce il Ssn.

È necessario: tornare a un Ssn universalistico, finanziato dalla fiscalità generale in relazione ai redditi di ciascuno, ottenere un aumento considerevole del finanziamento per la sanità pubblica, investire sulla prevenzione, restituire al soggetto pubblico il compito di individuare i bisogni di salute, stabilire le priorità, elaborare i piani sanitari territoriali, definire gli obiettivi ed eventualmente individuare i soggetti privati con i quali collaborare, ma nel rispetto di precise regole e controlli.

Vittorio Agnoletto, Medicina Democratica