Tra i mesi di novembre e dicembre del 2020, la Commissione ha presentato una serie di proposte di Regolamento che danno corpo all’Agenda digitale dell’Unione europea. Si tratta rispettivamente della proposta di Regolamento del 25 novembre 2020 sulla “governance europea dei dati” (Data Governance Act); della proposta di Regolamento del 15 dicembre 2020 sul “mercato unico dei servizi digitali” (Digital Services Act) e della proposta di Regolamento di pari data su “mercati digitali equi ed aperti” (Digital Markets Act). Rimandando ad altra sede l’approfondimento della proposta sul Data Governance Act, ci soffermiamo nel prosieguo sulle altre due proposte di Regolamento riguardanti l’economia delle piattaforme. Focalizzeremo inoltre l’attenzione sulle più recenti proposte della Commissione in tema di rapporto tra diritto della concorrenza e contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi, e sulle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme.

La proposta di Regolamento sul mercato unico dei servizi digitali

Questa proposta intende regolare la responsabilità delle piattaforme digitali per le informazioni e i servizi offerti tramite esse nei confronti dei consumatori. Benché le piattaforme siano considerate come semplici intermediari tra il “destinatario del servizio” (recipient), ossia la persona fisica o giuridica che utilizza il servizio intermediario offerto dalla piattaforma (art. 2, lett. b) (si pensi alla persona che carica le sue foto su Facebook, all’avvocato che offre i suoi servizi su Linkedin, o alla ditta che offre i suoi prodotti su Amazon, ecc.), e il consumatore (art. 2, lett. c) e non vi sia per i “prestatori dei servizi intermediati” (le piattaforme) un obbligo generalizzato di controllo sull’illiceità delle informazioni trasmesse e memorizzate (art. 7), non vi sono esenzioni di responsabilità per le piattaforme ove queste possano comunque modificare le informazioni o esercitare un controllo su di esse (art. 3 per l’attività di “mere conduit”; art. 4, per l’attività di “caching”; art. 5, per l’attività di “hosting”: si pensi a You tube), escluso naturalmente il fatto ove la piattaforma sia dolosamente connivente con il recipient.

La proposta prevede tutta una serie di doveri di diligenza (due diligence) in capo alle piattaforme on line rispetto ai contenuti che esse ospitano: doveri di trasparenza e di informazione, dovere di dare seguito agli ordini dell’autorità che impone di agire contro un contenuto illegale (art. 8) o che impone di fornire informazioni (art. 9) Particolarmente importanti sono le previsioni della sezione 3 (artt. 16 e ss.), specie per ciò che riguarda il dovere delle piattaforme di dare seguito alle segnalazioni dei cd. “segnalatori attendibili” (flaggers), ossia specifici enti che presentano notifiche di infrazioni (artt. 14, 17 e 19). Non è prevista tra i possibili flaggers la semplice persona fisica (con buona pace della figura del whistleblower), ma nulla impedisce che l’organizzazione sindacale possa richiedere (e ad essa possa essere riconosciuta) la qualifica di “segnalatore attendibile”. Gli obblighi della sezione 3 non si applicano alle piccole o micro-piattaforme on line ai sensi dell'allegato della raccomandazione 2003/361 (art. 16); alle grandi piattaforme – ossia quelle con un numero medio mensile di destinatari attivi del servizio (recipients) nell'Ue pari o superiore a 45 milioni – sono altresì imposti obblighi aggiuntivi, quali ad esempio la valutazione del rischio (artt. 25 e ss.).

La Confederazione europea dei sindacati, nelle sue osservazioni, sostiene che la proposta di Regolamento si applicherà anche alle piattaforme online labour intensive, anche se restano dubbi interpretativi. La proposta parla di recipients, ossia - come detto - di “destinatari dei servizi” delle piattaforme, e di consumatori. E i primi in realtà potrebbero essere anche lavoratori della gig economy (pensiamo al crowdworker di Amazon Mechanical Turk). Si rammenta che già esiste il Regolamento Ue n. 1150/2019 sull’equità e la trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, che si applica anche ai lavoratori effettivamente autonomi (o, meglio, a qualsiasi «privato che agisce nell’ambito delle proprie attività commerciali o professionali»: art. 2, punto 1). Quindi c’è un trend che si consolida.

La proposta di Regolamento sui mercati concorrenziali ed equi nel settore digitale

La seconda proposta verte sulla responsabilizzazione dei cd gatekeepers, ossia i “fornitori di servizi di piattaforma di base” (art. 2, punto 1), quali motori di ricerca, google search, servizi di cloud, tutte le big tech (Amazon, Google, Apple, ecc.), rispetto ai quali si chiede di agire in maniera equa e non discriminatoria. Tali piattaforme online, ove rientranti nei requisiti previsti dall’art. 3 della proposta di Regolamento, si considerano aventi una posizione dominante nel mercato digitale; di questa posizione non devono abusare e perciò sono tenute a seguire quanto specificato negli artt. 5 e 6 (contenenti obblighi positivi, ma anche condotte vietate: si pensi al divieto di combinare dati personali).

Peraltro ad essere protetti dal nuovo Regolamento sarebbero solo gli “utenti commerciali” (business users), ossia qualsiasi persona fisica o giuridica che, nell'ambito delle proprie attività commerciali o professionali, utilizza i servizi di piattaforma di base ai fini della fornitura di beni o servizi agli “utenti finali” (art. 2, punto 17), e gli “utenti finali” (end users), ossia le persone fisiche o giuridiche che utilizzano la piattaforma per acquistare i beni e i servizi messi a loro disposizione dagli utenti commerciali, Per le piattaforme di crowdworking, i lavoratori che ricevono ed accettano la proposta del committente come vanno identificati? Come “utenti commerciali” o come “utenti finali”?

Gli end users fanno pensare alla figura del consumatore e quindi a qualcosa di diverso dal crowdworker. Certo però che le situazioni non sono tutte uguali. Se prendiamo Amazon Mechanical Turk, la situazione in cui un editore richiede un servizio di traduzione e il traduttore accetta di svolgerla, più che a uno scambio tra business user ed end user fa pensare ad uno scambio tra due “utenti commerciali”, e quindi potrebbe essere sottratta all’ambito di applicazione del Regolamento. Se pensiamo invece ai drivers di Uber o ai riders di Deliveroo, ove il driver e il rider offrono un servizio a un utente finale, si potrebbe invece parlare del driver o del rider come business user e quindi fare rientrare il suddetto servizio nell’ambito di applicazione del Regolamento e nelle garanzie previste dagli artt. 5 e 6. Si pensi all’art. 5, par. 1, lett. b), che consente all’utente commerciale di offrire i propri prodotti e servizi all’utente finale anche attraverso servizi di intermediazione on line di terzi a prezzi e condizioni differenti da quelle offerte attraverso i servizi di intermediazione online del gatekeeper (divieto di esclusiva) O ancora all’art. 6, par. 1, lett. k), ove si prevede che il fornitore di servizi di piattaforma di base “applica condizioni generali eque e non discriminatorie per l'accesso degli utenti commerciali ai propri negozi di applicazioni software, designati a norma dell'art. 3 del Regolamento”. Quest’ultima previsione generale, suscettibile di ulteriore specificazione, pare offrire una tutela più ampia di quella offerta dall’art. 47-quinques, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, al rider lavoratore autonomo. Rileva infine la previsione di un apparato sanzionatorio che va oltre le sanzioni pecuniarie e comprende anche le c.d. sanzioni comportamentali o strutturali (come, ad es., la possibilità di costringere le grandi piattaforme a vendere rami d’azienda: breaking big tech) (artt. 18 e ss.).

La proposta della Commissione su “contrattazione per i lavoratori autonomi e ambito di applicazione regole Ue della concorrenza”

A gennaio 2021, la Commissione ha pubblicato un inception impact assessment sul rapporto tra diritto della concorrenza e contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi. Il problema nasce dal fatto che, per il diritto UE, i lavoratori autonomi sono imprese; di conseguenza, i contratti collettivi loro applicabili sono vietati ai sensi dell’art. 101 Tfue in quando costituiscono accordi che impediscono, restringono o falsano la concorrenza (v. Corte di giustizia, 4 dicembre 2014, C-413/13, FNV Kunsten).

La Commissione, a seguito degli studi forniti da Eurofound e delle consultazioni di esperti (quali, in particolare, Nicola Countouris e Valerio De Stefano), si è convinta del fatto che, in alcuni casi, anche i lavoratori autonomi si trovano in una posizione di debolezza contrattuale (imbalance of negotiating power), che può essere superata solo mediante la contrattazione collettiva. Per questo, la Commissione ritiene che sia necessario un intervento per precisare che ai contratti collettivi stipulati per i solo self-employed non si applica il diritto della concorrenza.

L’intervento della Commissione intende dunque introdurre una deroga all’interno del diritto Ue della concorrenza, i cui confini vengono definiti in maniera molto precisa: la deroga si applica infatti ai lavoratori autonomi senza personale alle proprie dipendenze, che svolgono una prestazione esclusivamente personale, attraverso una piattaforma o a favore di un’impresa (professional customer); la deroga si applica poi ai soli contratti collettivi diretti a migliorare le condizioni di lavoro, e non riguarda i prezzi e le altre condizioni contrattuali imposte ai consumatori privati.

All’interno di questa cornice, la Commissione avanza quattro diverse ipotesi. La prima opzione esclude dal campo d’applicazione del diritto della concorrenza tutti i lavoratori autonomi che forniscono il loro lavoro personale tramite piattaforma. La seconda opzione esclude dal diritto della concorrenza i contratti collettivi per i lavoratori autonomi che forniscono lavoro personale, tramite piattaforma o nei confronti di imprese utilizzatrici che hanno una certa dimensione (sono cioè esentate le piccole e medie imprese). La terza opzione esclude dalle regole sulla concorrenza tutti i contratti collettivi per i lavoratori autonomi, salvo quelli che riguardano i liberi professionisti; tuttavia, non esistendo nel diritto Ue una definizione di “professione liberale”, non è chiaro quali lavoratori autonomi sarebbero ancora soggetti al diritto della concorrenza. La quarta opzione è quella più ampia, perché concede a “tutti i lavoratori autonomi che forniscono lavoro personale” di essere coperti dalla contrattazione collettiva, senza che vi sia alcuna violazione del diritto della concorrenza.

Altra questione che la Commissione intende discutere riguarda il tipo di intervento: è necessario un regolamento o sono sufficienti linee guida, con cui la Commissione suggerisce come interpretare l’art. 101 Tfue? Va infine sottolineato che questa iniziativa si svolge al di fuori dell’ambito di applicazione degli artt. 154 e 155 Tfue sul dialogo sociale europeo, e dunque non prevede la consultazione obbligatoria delle parti sociali. Ciononostante, la Commissione ha organizzato un incontro con le parti sociali. Occorre tuttavia precisare che le posizioni espresse in questo incontro non sono vincolanti e vengono valutate nel mare magnum delle consultazioni pubbliche organizzate dalla Commissione sul tema (una prima consultazione pubblica ha avuto luogo nell’ambito della consultazione sul digital service act; una seconda consultazione pubblica, specifica sul tema, è stata aperta il 5 marzo e avrà luogo fino al 28 maggio).

La proposta della Commissione sul lavoro tramite piattaforma

Il 24 febbraio del 2021 la Commissione ha presentato il documento che apre la prima fase di consultazione sull’iniziativa relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme. Questa volta l’intervento della Commissione si inscrive all’interno dell’ambito di applicazione del dialogo sociale europeo e richiede dunque una doppia consultazione delle parti sociali.

Il contenuto del documento presentato dalla Commissione presenta una fotografia completa e dettagliata dei problemi che i lavoratori delle piattaforme devono affrontare. In particolare, viene sottolineato, in più parti, l’annosa questione dei falsi lavoratori autonomi, per la cui soluzione si prospetta anche l’introduzione di una presunzione di lavoro subordinato. Viene poi enfatizzato il problema della sorveglianza e della gestione mediante gli algoritmi, che si intende risolvere migliorando la trasparenza delle condizioni di lavoro. Tuttavia, i diritti di informazione sono esclusivamente individuali; i diritti di informazione e consultazione delle rappresentanze dei lavoratori vengono menzionati solo nella parte conclusiva (p. 28), in cui viene anche sottolineata l’esigenza di garantire a tutti i lavoratori il diritto alla contrattazione collettiva. La Commissione precisa però che quest’ultimo aspetto è oggetto di un’altra iniziativa (quella sopra indicata).

Al fine di creare uno standard minimo di trattamento, e di garantire così la concorrenza leale tra imprese, la Commissione propone poi di garantire condizioni di lavoro eque in materia di retribuzione, orario di lavoro, sicurezza e salute sul lavoro, eguaglianza di genere. Ai lavoratori delle piattaforme deve poi essere assicurato l’accesso alla protezione sociale. Degna di nota è l’attenzione agli aspetti transnazionali, spesso trascurati negli studi in materia.

Va infine sottolineato, con rammarico, che le iniziative del Parlamento europeo sul diritto alla disconnessione e sulla proposta di direttiva sul lavoratori delle piattaforme, sono del tutto trascurate dalla Commissione che, secondo l’attuale assetto dei Trattati, detiene, in via esclusiva, il potere di iniziativa legislativa.