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È certo che stiamo vivendo una realtà piena di contraddizioni: da una parte le parole di cambiamento, di rivoluzione nel mondo della disabilità, di svolta epocale (queste le parole dell’attuale esecutivo); dall’altra la vita reale delle persone con disabilità e delle loro famiglie, che quotidianamente devono lottare solo per vedere un loro diritto esigibile. Si parla di rivoluzione, di svolta, ma davvero le cose stanno cambiando? La realtà è che, lo possiamo affermare con certezza, oggi le persone vivono ancora con i problemi reali della propria quotidianità.
Nell’ultima legge di bilancio si sono spostate risorse da un capitolo all’altro per le politiche in favore delle persone con disabilità e per la non autosufficienza, con il risultato che per la quotidianità le persone con disabilità, anche per l’anno in corso, saranno costrette fare i conti con servizi e l’assistenza domiciliare elargiti con il contagocce, nonché con politiche attive per l’inserimento lavorativo inesistenti, e inefficaci quando ci sono.
Nessuna risorsa aggiuntiva, ma inefficaci spostamenti per l’attuazione della “riforma della disabilità”. La riforma nasce dalla legge delega 227 del 22 dicembre 2021, in attuazione della Missione 5–C2 “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore”, programmata dal Pnrr, che prevedeva una legge quadro sulla disabilità.
La legge 227 (non proprio una legge quadro) ha avuto l’ambizioso obiettivo di costruire norme e percorsi attuativi della legge stessa, per promuovere la libertà personale e la libertà di scelta, che sono la radice profonda della promozione dell’autonomia delle persone con disabilità, e della piena attuazione dei diritti di cittadinanza.
La legge avrebbe dovuto dare piena attuazione alla “Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità”, alla “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” e alla “Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030”, attraverso il pieno utilizzo delle risorse definite nel Pnrr. A tale scopo, tre sono stati i decreti legislativi prodotti, il più incisivo sicuramente è il d.lgs. 62/2024.
Il titolo della nuova norma già delinea il perimetro degli interventi: “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”. Un grande e ambizioso progetto, che ha immediatamente evidenziato le enormi difficoltà nella sua messa a terra. Il decreto ha previsto una sperimentazione su alcune province inizialmente di un anno, oltretutto non prevista della legge delega da cui deriva, ma poi è stata prolungata di un ulteriore anno, proroga che esplicita la non riuscita dell’impianto della sperimentazione e che contrasta con i desideri e le aspirazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
La “valutazione di base”, il procedimento attraverso il quale vengono individuate le necessità di sostegno della persona con disabilità, ha riscontrato immediati problemi già segnalati dalla Cgil e poi riscontrati fattivamente, attraverso i territori soggetti a sperimentazione. Inoltre, non si parla ancora del progetto di vita, cuore della riforma stessa.
In effetti, il d.lgs. 62/2024 individua nel “progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato” lo strumento deputato a garantire “l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali”, tra cui “la possibilità di scegliere, in assenza di discriminazioni, il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socio-assistenziali”.
Inoltre, riceve ampio riconoscimento il principio di autodeterminazione: il progetto personalizzato non solo deve essere “diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte”, ma deve anche essere elaborato “con la partecipazione della persona con disabilità e di chi la rappresenta”.
Ma, a oggi, il progetto di vita, faro e speranza di moltissime persone con disabilità e delle loro famiglie, è alimentato da una discussione ancora colpevolmente troppo superficiale da parte dei territori a oggi interessati alla sperimentazione. Troppo spesso si fa confusione, tra i progetti di vita che troviamo già in essere (ad esempio, la legge 328/2000) in alcuni territori e il progetto di vita della riforma della disabilità. Il progetto di vita individuale partecipato e personalizzato potrebbe veramente rappresentare la conquista dei pieni diritti di cittadinanza.
Nell’attuale sistema, la persona con disabilità ha la possibilità di scegliere tra l’offerta dei servizi esistenti e standardizzati. Il decreto legislativo 62/2024, invece, stabilisce che le progettualità future non potranno più basarsi sui servizi offerti, ma questi dovranno scaturire dai desideri e dalle aspirazioni delle persone stesse, prevedendo la possibilità di soluzioni adeguate alle esigenze, valutate caso per caso. Ci troviamo di fronte a un nuovo modo di organizzare l’offerta, con al centro la persona.
Ma questo vuol dire anche ripensare l’organizzazione dei servizi, mettendo da parte la standardizzazione, in un’ottica dinamica. A oggi moltissimi territori non hanno ancora chiaro la portata dell’innovazione necessaria e al cambio di passo che li attende. Il prolungamento della sperimentazione non giova di certo, poiché spesso il “troppo tempo” incentiva la pigrizia nei confronti di alcune scelte, assecondando l’inerzia di alcune amministrazioni locali.
L’effettiva entrata in vigore del decreto avrebbe consentito di accelerare in maniera decisa il cambio di prospettiva cui l’intero sistema si sta orientando. C'è la necessità di una concreta integrazione fra i sistemi socio-sanitari territoriali. È bene ricordare che l’integrazione socio-sanitaria è spesso il punto di maggior fragilità del sistema.
Le Regioni dovranno rapidamente “attrezzarsi”, per dare una risposta, attuando e promuovendo atti di programmazione mirati a costruire risposte di sistema a problemi complessi, incentivando con adeguate risorse gli ambiti territoriali sociali. Sarà necessario, inoltre, trovare una equità tra i diversi territori, facendo attenzione alle differenze territoriali. Chi parte già con una condizione di sfavore e maggiore fragilità non dovrebbe avere anche lo svantaggio di essere nato in un luogo invece che in un altro.
Inoltre, è importante sottolineare che, tra tutte le aree di intervento definite nel progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, il ruolo del lavoro non può che avere una importanza significativa. Nelle aree di intervento del progetto di vita ci sono, appunto, la formazione e il lavoro, prevedendo anche un rappresentante dei servizi per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità come componenti dell’unità di valutazione multidimensionale incaricata di elaborare il progetto di vita. Il lavoro è, come sosteniamo da sempre, un punto centrale ai fini dell’inclusione e partecipazione.
Concludendo, sappiamo bene che l’iter per l’attuazione di un progetto così ampio avrà bisogno di tempo, di modifiche e integrazioni, come sempre accade nelle innovazioni, e per questo sarà necessaria la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. La Cgil è e sarà sempre in prima linea per sostenere e difendere i pieni diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, al loro fianco e a sostegno delle loro famiglie.
Valerio Serino, responsabile Cgil dell’ufficio Politiche per il lavoro e l’inclusione delle persone con disabilità