La settimana corta arriva. Ma solo per chi sfoggia il tesserino da parlamentare, non certo per chi timbra il cartellino con sudore e pazienza. Speravate davvero fosse per tutti? Illusi. Mentre milioni di lavoratori fantasticano su un venerdì senza badge, a Montecitorio si organizza la grande fuga del giovedì. Il ministro Ciriani ha avanzato la proposta per tutelare il sacro giorno del ponte, riservato all’evaporazione istituzionale.

La trovata è geniale: spostare le interpellanze al giovedì pomeriggio, così si stacca prima. Una spruzzata di efficienza scandinava sulla tradizione del rientro anticipato. Impossibile pretendere da un sottosegretario di rispondere mentre mentalmente ha già impugnato la racchetta da padel. E poi, meglio un’Aula completamente vuota che un emiciclo a metà con l’aria da open space abbandonato.

E proprio mentre si metteva in calendario il weekend lungo degli onorevoli, la stessa maggioranza ha stracciato una proposta per ridurre l’orario a chi lavora davvero. Troppo sensata, troppo civile, troppo rischiosa. L’articolo 1, che illustrava le finalità, è stato trattato come un abitante di Gaza: incenerito. Il principio è chiaro, meno ore ma solo se porti la giacca buona.

Così il cittadino continua a sudare, mentre l’onorevole esplora il concetto di produttività zen: tre giorni di lavoro, due di presenza, zero senso del pudore. Il lavoro nobilita, ma solo se resta confinato al popolo. Ai piani alti spetta il riposo del legislatore guerriero.

In fondo è solo questione di tempo: quello degli eletti vale in oro, quello degli elettori si scarta come l’imballaggio. Loro tagliano i venerdì, noi tagliamo le speranze. E se va avanti così, ci proporranno presto una democrazia in smartworking: presente solo quando serve e solo per chi può.