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Nel grande circo dell’assurdo chiamato geopolitica, Trump torna in scena con la grazia di un elefante isterico e colpisce l’Iran “per ristabilire la pace”. È il solito show pirotecnico dell’impero: prima sgancia ordigni, poi predica equilibrio. Con la stessa logica, uno prende a martellate un vaso di cristallo e poi sostiene che voleva ripararlo. E guai a sorridere: ci sono in gioco, ci dicono, “i valori dell’Occidente”.
La dinamica è quella del branco armato: se non ti pieghi, ti civilizzo a colpi di esplosivo. In questo triangolo perverso tra Washington, Tel Aviv e Teheran, ogni azione è una minaccia mascherata da autodifesa. Gli Stati Uniti predicano moderazione a parole e seminano devastazione con i missili. Israele alza la voce e il tiro. L’Iran risponde con quella furia cieca che solo chi si sente accerchiato conosce bene. Il resto del mondo si gira dall’altra parte o commenta con il tono solenne di chi benedice l’atomica in giacca e cravatta.
E mentre i generali esultano, i consulenti militari raddoppiano i compensi e i giornali intonano inni alla fermezza, a morire sono sempre gli stessi: bambini, donne, anziani, gente invisibile che non entra nei titoli. I civili diventano “effetti collaterali”, il sangue una variabile tattica, i corpi una statistica. E chi alza la voce è liquidato come illuso, ignorante o peggio ancora: pacifista.
Il vocabolario è ormai contaminato. “Attacco difensivo”, “bomba intelligente”, “pace armata”, “escalation controllata”. Ma la vera escalation è semantica e l’ipocrisia ha raggiunto livelli tossici altissimi. Il fantasma del nucleare, che pensavamo sepolto, torna a fluttuare come se niente fosse, evocato con leggerezza da chi la guerra la firma, la analizza, la monetizza.
Così, tra un salotto televisivo e un summit diplomatico, ci ritroviamo con l’apocalisse in prima serata, narrata da ventriloqui ben pettinati. La guerra, oggi, è un ossimoro impacchettato da marketing: si spaccia per inevitabile, si consuma come intrattenimento e si giustifica come atto d’amore. Bombardano per la pace. E noi dovremmo pure ringraziare.