La riforma Gentile – serie di atti normativi del Regno d’Italia che costituisce una riforma scolastica organica – prende il nome dall’ispiratore, il filosofo Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione del governo Mussolini. Sarà “la più fascista” delle riforme, o almeno così la definirà Benito Mussolini. Con il Regio Decreto 1054 del 6 maggio 1923 – parte integrante della “riforma” – viene preclusa alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie.

È solo una delle leggi del Ventennio sulle donne. Leggi che ridurranno progressivamente la libertà femminile, ma la scuola è il settore preso di mira per primo dal Regime, e con particolare perseveranza. Con il regio decreto 2.480 del 9 dicembre 1926 le donne saranno escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, verranno tolte loro alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, si vieterà loro di essere nominate dirigenti o presidi di istituto.

Una legge del 1934 (legge 221) limiterà notevolmente le assunzioni femminili, stabilendo sin dai bandi di concorso l’esclusione delle donne o riservando loro pochi posti, mentre un decreto legge del 5 settembre 1938 fisserà un limite del 10% all’impiego di personale femminile negli uffici pubblici e privati. 

L’anno successivo, il regio decreto n. 989/1939 preciserà addirittura quali impieghi statali potessero essere assegnati alle donne: servizi di dattilografia, telefonia, stenografia, servizi di raccolta e prima elaborazione di dati statistici; servizi di formazione e tenuta di schedari; servizi di lavorazione, stamperia, verifica, classificazione, contazione e controllo dei biglietti di Stato e di banca, servizi di biblioteca e di segreteria dei Regi istituti medi di istruzione classica e magistrale; servizi delle addette a speciali lavorazioni presso la Regia zecca.

L’articolo 4 della stessa legge, suggerirà altri impieghi “particolarmente adatti” alle donne: annunciatrici addette alle stazioni radiofoniche; cassiere (limitatamente alle aziende con meno di 10 impiegati); addette alla vendita di articoli di abbigliamento femminile, articoli di abbigliamento infantile, articoli casalinghi, articoli di regalo, giocattoli, articoli di profumeria, generi dolciari, fiori, articoli sanitari e femminili, macchine da cucire; addette agli spacci rurali cooperativi dei prodotti dell’alimentazione, limitatamente alle aziende con meno di dieci impiegati; sorveglianti negli allevamenti bacologici e avicoli; direttrici dei laboratori di moda.

Del resto scriveva Ferdinando Loffredo nella sua Politica della famiglia (1938): “Il lavoro femminile (…) crea nel contempo due danni: la 'mascolinizzazione' della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più a elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito (…); concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe”.

“Piccola Italiana - recitava uno dei tanti libretti del ventennio - questo è il decalogo della tua disciplina: Prega e adoperati per la pace, ma prepara il tuo cuore alla guerra. Ogni sciagura è mitigata dalla forza d’animo, dal lavoro e dalla carità. La Patria si serve anche spazzando la propria casa. La disciplina civile comincia dalla disciplina famigliare. 

Il cittadino cresce per la difesa e la gloria della Patria accanto alla madre, alle sorelle, alla sposa. Il soldato sostiene ogni fatica e ogni vicenda per la difesa delle sue donne e della sua casa. Durante la guerra la disciplina delle truppe riflette la resistenza morale delle famiglie a cui presiede la donna. La donna è la prima responsabile del destino di un popolo. Il Duce ha ricostruito la vera famiglia italiana: ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana.

La donna italiana è mobilitata dal Duce al servizio della Patria”. “La donna fascista deve essere fisicamente sana per poter diventare madre di figli sani, secondo le regole di vita indicate dal Duce nel memorabile discorso ai medici. Vanno quindi assolutamente eliminati i disegni di figure femminili artificiosamente dimagrate e mascolinizzate, che rappresentano il tipo di donna sterile della decadente civiltà occidentale”, affermava G. Polvarelli, capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio nelle direttive ai giornali del 1931, arrivando il Codice Rocco del 1930 a includere la contraccezione e l’aborto tra i crimini contro l’integrità della stirpe.

Tempi bui, tempi lontani, tempi ormai passati. Ma ne siamo davvero così sicuri?