(Settima puntata del nostro viaggio tra coronavirus e scrittori)

Caro Davide, mi mancano le parole. È strano da dire visto che facciamo le scrittrici e gli scrittori con vocazione quasi monastica. Ma è la verità, mi mancano tutte le parole per descrivere questo caos. Il coronavirus me le sta togliendo una ad una. Come tutti sto vivendo questa esperienza di vivere sigillata, come se fossi in una scatola di sardine dove l'unica sardina sei tu, che nuoti e provi a tenerti a galla in quel mare di olio nonostante tutto. Siamo topi in trappola. E stiamo provando ora sulla nostra pelle quello che molti uomini e donne del Sud Globale provano quotidianamente. Io ho sempre ragionato del viaggio, quello possibile e quello negato. Sono sempre stata conscia di essere parte di una bolla di privilegio pazzesca, bolla che mi ha permesso nel tempo di fare viaggi transoceanici in pochi giorni. Ed è questo privilegio di viaggio che mi ha sempre mosso alla difesa di chi invece veniva privato della mobilità, a volte persone con la mia stessa faccia, con il mio stesso colore scuro di pelle, che hanno dovuto attraversare il deserto e la ferocia dei trafficanti solo per poter fare un passo.

L'anno scorso l'ho capito come non mai quanto il passaporto europeo che portavo in tasca fosse una chiave che apriva magicamente i confini. Infatti è l'anno scorso che ho fatto la pazzia di attraversare tre volte l'Atlantico, per andare due volte negli Stati Uniti e una volta in Brasile. Controlli standard e poi via alla conquista di quei territori che in fondo fino a ieri consideravo quasi dietro l'angolo. Ma niente è dietro l'angolo. Il privilegio di avere un passaporto forte si è scontrato oggi con un virus che assomiglia ad una cabarettista degli anni '20 e che ha la caratteristica di colpirti dove non te lo aspetti. E questo virus ci ha calato come non mai nell'esperienza reale delle persone che il mainstream chiama migranti e che in condizioni di viaggio normale, legale e possibili, sarebbero stati solo viaggiatori.

Capisco nell'intimo, nel dolore di questa stasi causata da condizioni straordinarie, che il diritto alla mobilità dovrebbe essere concesso a tutti. Ma nel mondo nuovo (perché volente o nolente sarà nuovo) che verrà capiremo secondo te la lezione del virus? O continueremo a costruire muri e frontiere? Ora la frontiera me la sento addosso. Io che ho la famiglia quasi tutta fuori dall'Italia, mi sento separata da loro come non mai. E questo sta succedendo a tante amiche/amici che hanno i figli in qualche altro paese, italiani emigranti con una laurea al posto della valigia di cartone. Sono preoccupata per loro, per la mia famiglia che vive altrove, e se succede qualcosa? La consapevolezza che questa volta non ci sarà un volo Ryanair per raggiungerli mi annienta.

In questo il virus ci ha fatto vedere come sarebbe brutto vivere nel mondo sognato dai sovranisti, un mondo sigillato, chiuso, dove l'assenza della relazione umana è l'imperativo categorico. Da poco stiamo sperimentando questo paradiso sovranista e già ci da la nausea. Ed è così odioso non poter più fare nulla di quello che ci piaceva, nemmeno il caffè al bar che come sai fa sempre molto made in Italy.

Il virus è un dittatore, lo ha definito tale il virologo Burioni. Ed è così. Costringe i nostri governi (dico nostri perché finalmente alla lungimiranza del governo italiano se ne stanno aggiungendo altri) a diramare decreti che mai avrebbero voluto firmare. Ma è anche un virus comunista, mi ha detto Simone Paulino editrice della brasiliana Nos, un virus che sconquassa con la sua invisibilità il mondo del capitale, mettendo a nudo le catene dello sfruttamento e le idee malsane per la società che sono dietro ad alcuni leader di organi sovrazionali. E’ il virus, con la sua pericolosità, che ci mostra con chiarezza le diseguaglianze sociali, i posti letto tagliati in ospedale per profitto, le carceri sfinite da troppe politiche sbagliate.

Io però, caro Davide, lo confesso non so dirti se questo virus sia comunista, fascista, qualunquista... probabilmente è solo un virus ecologista perché mette a nudo la sbagliata relazione di noi esseri umani con il pianeta. Non so che virus sia. So però che, dopo, le nostre piccole vite non saranno più le stesse. Qualcuno la vita non ce l'avrà più e chi sopravvivrà, dovrà fare i conti con le paure di un dopo che non sappiamo ancora che forma avrà. Niente sarà davvero più lo stesso per nessuno, nemmeno la vita dei paesi sarà più la stessa, con una Cina in gran sfoggio pronta a un suo personale (e meritato direi) rinascimento e con gli Stati Uniti malandati quanto i suoi candidati in corsa alla poltrona di presidente.

Vorrei dirti di più, ma ho perso le parole. Anche se ora tu le vedi, le leggi, sono ancora troppo impalpabili come il virus, ancora troppo spaventate. Un giorno torneranno tutte con la lucidità necessaria. Torneranno le parole giuste e ci guideranno verso nuovi orizzonti.  Credo che però per poter scrivere di quello che ci sta succedendo, della paralisi, delle paure, dell'angoscia, ci vorrà tempo. Molto tempo. Per ora ho deciso di aprire dei libri, leggerli, ho bisogno delle parole degli altri oggi più che mai, per mettere a fuoco, per non perdere l'equilibrio, per esistere, per resistere. Solo guardando alle esperienze del passato o anche solo dell'altro ieri potrò/potremo capire come sarà il mondo che verrà.

(foto di copertina di Simona Filippini)

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Le parole che servono
, D.Orecchio