Da qualche giorno tutti i commentatori sono impegnati nella discussione sui voucher e sul loro futuro, a seguito di uno dei tre quesiti referendari promossi dalla Cgil e che saranno al vaglio di ammissibilità della Consulta il prossimo 11 gennaio. Dalle critiche  alla Cgil che – secondo alcuni - li vuole "addirittura" abolire favorendo il lavoro nero, a chi finalmente si è accorto che è uno strumento abusato, a esponenti del governo che evidenziano come siano pronti numerosi disegni di legge volti a riportare lo strumento ad un utilizzo congruo, non c'è quotidiano che in questi giorni non affronti la questione.

D'altronde era ben strano che il problema non fosse affrontato, visto che dal 2008 ad oggi i voucher venduti sono passati da 535.000 a oltre 121 milioni (dato di settembre). Poi, dopo una raccolta firme di cui nessuno ha discusso per oltre dieci mesi, sono stati scoperti i referendum “anti Jobs Act” della Cgil, che per qualcuno sarebbero addirittura una delle ragioni più importanti per portare il nostro Paese al voto anticipato in modo da evitarli. Si è anche riaperta la discussione sui licenziamenti illegittimi, dibattito che nella maggioranza delle volte viene proposto con il  vecchio refrain del sindacato che non si rassegna alla modernità e vuole riportare le lancette indietro al secolo scorso, impedendo al lavoro e alle imprese di liberarsi degli inutili lacci e lacciuoli che impediscono al merito di prevalere.

Nessuno dibatte più di tanto sul quesito relativo agli appalti: un tema che, se affrontato adeguatamente, riporterebbe un briciolo di dignità in un sistema che troppo spesso significa impoverimento e sfruttamento dei lavoratori e competizione per le imprese sui costi. Ma, come noto, ci sono argomenti che scaldano i cuori e animano il dibattito fra rappresentanze e altri che restano nel dimenticatoio. Intanto, viene da dire, è bene che di alcuni temi si discuta, visto che da troppo tempo le condizioni del lavoro nel nostro Paese non sono più argomento di dibattito o confronto. Tuttavia il modo con cui se ne discute non è sempre all'altezza, perché non si affrontano le radici culturali dei cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro e soprattutto non si affronta la condizione di debolezza in cui, con gli interventi degli ultimi vent'anni e non solo con il Jobs Act, si è deciso di far sprofondare questo mondo.

Un lavoro svilito, frantumato e indebolito, una variabile sempre più dipendente dalle condizioni dell'economia e del mercato. La condizione del lavoro non è un effetto della crisi, ma una delle sue ragioni. Forse non saremo moderni, ma mi chiedo: cosa c'è di moderno o innovativo in una legislazione che negli ultimi anni ha aumentato le forme di precarietà, impoverito il sistema dei diritti affrontando così ribasso l'annosa questione della dualità del mondo del lavoro, fatto passare per privilegiati lavoratori a tempo indeterminato accusati di essere, con il loro portato di tutele (sempre più ridotte e deboli) la causa della condizione delle giovani generazioni, stretta tra assenza di lavoro e lavoro precario? Cosa c'è di moderno nello svilire la funzione della rappresentanza o nel negare le libertà sindacali, in nome di una presunta maggiore libertà del singolo lavoratore di contrattare individualmente le sue condizioni nel mercato?

La Cgil è in campo non solo con i quesiti referendari, ma anche con una proposta di legge di iniziativa popolare, sulla Carta dei Diritti universali del lavoro, che sarebbe importante che venisse incardinata quanto prima nella discussione parlamentare. Una proposta di legge che ha raccolto oltre un milione di firme nel Paese, con l'obiettivo di rimettere al centro il lavoro, nella sua irrinunciabile funzione di agente del progresso economico e sociale.

Una proposta nata per restituire libertà e dignità alle persone che lavorano, attraverso il riconoscimento di diritti universali a tutti, senza distinzioni in base alla tipologia di impiego o alla tipologia di impresa in cui si lavora. Una proposta – in sostanza - che ha l'ambizione di estendere diritti a chi non ne ha, riscriverne dei nuovi, dare garanzie di partecipazione attiva dei lavoratori nella definizione dei contratti collettivi sottoscritti attraverso regole generali sulla rappresentanza e sulla democrazia nei luoghi di lavoro.
 
Coloro che oggi si affannano a rincorrere la questione del giorno (e ce ne sono tante: i voucher, l'abuso dei tirocini, la fine di alcuni ammortizzatori e gli effetti che ne deriveranno in una situazione di difficoltà delle imprese, il sistema delle politiche attive) provino ad affrontare la situazione in modo più complessivo e a analizzare la condizione del lavoro oggi, alla luce delle tante riforme che si sono succedute in questi anni. Tutte sono state accompagnate dall'impegno di sostenere il lavoro, ridurre la precarietà, aiutare i giovani, sostenere le imprese a competere nella via alta allo sviluppo. Gli esiti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. Per la Cgil la strada è una sola: dare nuova vita ai diritti. La discussione riparta da qui.

Tania Scacchetti è segretario confederale della Cgil

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